La Corte di Cassazione con la sentenza 31 maggio 2017, n. 27296, ha stabilito i limiti della responsabilità penale del committente nella cooperazione con l’appaltatore/datore di lavoro per l’attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi e di coordinamento degli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori.
Il caso riguarda un infortunio occorso a un operaio mentre era intento a rimuovere le macchie d’olio e di grasso dal piazzale esterno della società adoperando soda caustica. Durante l’operazione una piccola quantità di tale sostanza entrava all'interno dello stivale in gomma del lavoratore, il quale aveva indossato, erroneamente, il pantalone della tuta all'interno e non all'esterno dello stivale, non proteggendo così la gamba dall'ingresso di sostanze pericolose nello stivale. La soda caustica bagnava così il calzino, provocando un’ustione chimica all’arto inferiore.
Avvertito il bruciore, l'operaio sciacquava il piede con acqua fredda, come gli era stato detto di fare, poi si infilava nuovamente il calzino che indossava (bagnato di soda caustica) e riprendeva a pulire il piazzale; nei giorni successivi l’operaio andava al lavoro indossando il medesimo calzino e, soltanto dopo quindici giorni, si presentava al pronto soccorso, ove i sanitari riscontravano un'ustione chimica da soda caustica.
Dell’evidente imprudenza del lavoratore può essere chiamato a rispondere l’appaltatore/datore di lavoro, ma non il committente. La Corte di Cassazione infatti, nel caso specifico, ha escluso che il committente avesse l’obbligo di assicurarsi preventivamente che l’appaltatore/datore di lavoro avesse puntualmente spiegato al dipendente la necessità di cambiare immediatamente un indumento che era stato contaminato dalla soda caustica.
Tale conclusione appare in linea con gli approdi della giurisprudenza di legittimità, che ha evidenziato che in tema di infortuni sul lavoro il dovere di sicurezza gravante sul datore di lavoro opera - certamente - anche in relazione al committente, dal quale non può, tuttavia, esigersi un controllo pressante, continuo e capillare sull'organizzazione e sull'andamento dei lavori.
In allegato la sentenza della Corte di Cassazione 31/05/2017, n. 27296.