La sentenza della Corte di Cassazione n. 36905 del 18/06/2015 ribadisce alcuni principi giurisprudenziali che possono essere utili per affrontare il tema delle “emissioni maleodoranti” non disciplinato dal legislatore. L’assenza di riferimenti normativi, che consentano di stabilire i livelli di accettabilità di questo tipo di emissione, può creare problemi interpretativi cui la decisione citata cerca di dare risposta.
Nel caso concreto oggetto della sentenza, gli odori provenivano da un impianto di compostaggio il cui legale rappresentante era stato condannato ad una pena pecuniaria dal Tribunale di Bergamo, in quanto ritenuto responsabile dell’illecito previsto dall’art. 674 cod. pen.
L’articolo citato sanziona il getto pericoloso di cose che prevede, tra l’altro, la condotta di chi provoca emissioni di gas, di vapori o fumo, atti a molestare le persone.
Si può parlare, in questo caso, di vere e proprie “molestie olfattive”. E’ ormai principio consolidato che la norma possa essere invocata in caso di esalazioni maleodoranti in grado di molestare gli abitanti di zone limitrofe all’impianto.
Contro la sentenza del Tribunale, la difesa presentava ricorso in Cassazione: nel primo motivo di ricorso veniva messo in evidenza come tali emissioni provenissero da un impianto debitamente autorizzato.
La Cassazione rigettava tale motivo: trattandosi di emissioni olfattive non ha rilevanza il fatto che l’impianto sia regolarmente autorizzato né il rispetto dei limiti di emissione, in quanto non esiste una normativa statale che preveda disposizioni specifiche e limiti in materia di odori. L’autorizzazione per le emissioni in atmosfera e il rispetto dei relativi limiti non si riferiscono, infatti, agli odori e, dunque, il rispetto delle autorizzazioni, se garantisce dall’inquinamento atmosferico, non garantisce dall’emissione di esalazioni sgradevoli.
Se la normativa non indica i parametri per valutare le esalazioni odorifere a quale criterio bisogna fare riferimento per stabilirne la “legalità”?
La Suprema Corte individua questo parametro nella “stretta tollerabilità” rigettando anche il secondo motivo del ricorso difensivo che si era appellato al parametro della “normale tollerabilità” sancito dall’art. 844 cod. civ. Tale articolo rende lecite le emissioni nel fondo finitimo se non superano la normale tollerabilità.
Secondo la Cassazione l’articolo 844 cod. civ. serve per risolvere il conflitto tra proprietari di fondi vicini per le influenze negative derivanti da attività svolte nei rispettivi fondi, pertanto il criterio della normale tollerabilità va riferito esclusivamente al contenuto del diritto di proprietà e non può essere utilizzato per giudicare l’illiceità d’immissioni che rechino pregiudizio anche alla salute umana o all’integrità dell’ambiente naturale.
Il diverso criterio di valutazione della tollerabilità delle emissioni olfattive (stretta tollerabilità), comporta che è sufficiente l’apprezzamento diretto delle conseguenze moleste da parte di alcune persone dalla cui testimonianza il giudice può trarre elementi per ritenere sussistente l’illecito.
Non è necessario un accertamento tecnico: dal momento che si tratta di odori manca la possibilità di accertare obiettivamente, con adeguati strumenti, l’intensità delle emissioni e pertanto il giudizio sull’esistenza e sulla non tollerabilità delle emissioni ben può basarsi sulle dichiarazioni dei testi, soprattutto se si tratta di persone a diretta conoscenza dei fatti, come i vicini, o particolarmente qualificate, come gli agenti di polizia e gli organi di controllo dell’USL.
Pertanto, anche le doglianze dell’imputato che lamentava il fatto che la sentenza di condanna si fondasse sulle percezioni olfattive e dunque su valutazioni inevitabilmente soggettive e generiche dei testimoni, sono da rigettare.
Informazioni possono essere chieste alla dott.ssa Alessandra Cargiolli del settore ambiente di Confartigianato Vicenza (tel. 0444 168357.)
In allegato la sentenza della Corte di Cassazione 18/06/2015, N. 36905.