Collegato Lavoro: novità in materia di lavoro.

Dal 12 gennaio in vigore le norme introdotte dalla legge 13 dicembre 2024, n. 203.

Sulla Gazzetta Ufficiale n. 303 del 28 dicembre 2024 è stata pubblicata la Legge n. 203/2024 – c.d. Collegato Lavoro - recante “Disposizioni in materia di lavoro”.

Il provvedimento, che entra in vigore il 12 gennaio 2025, interviene su numerosi aspetti della disciplina lavoristica, nonché sui temi della salute e sicurezza sul lavoro e della previdenza.

Si riporta di seguito una illustrazione delle principali disposizioni contenute nel provvedimento, precisando che sarà necessario attendere gli opportuni chiarimenti da parte dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro (già intervenuto con una prima nota illustrativa della Legge lo scorso 30 dicembre) circa l’effettiva portata applicativa di alcune disposizioni che lasciano dubbi interpretativi.

  1. Risoluzione del rapporto di lavoro per assenza ingiustificata del lavoratore (articolo 19)

La disposizione affronta la tematica delle c.d. dimissioni per fatti concludenti, prevedendo che in caso di assenza ingiustificata del lavoratore protratta oltre il termine previsto dal contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro o, in mancanza di previsione contrattuale, per un periodo superiore a 15 giorni, il datore di lavoro ne dà comunicazione alla competente sede territoriale dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, che può verificarne la veridicità.

Ne consegue la risoluzione del rapporto di lavoro per volontà del lavoratore, fattispecie alla quale non trova applicazione la disciplina vigente in materia di dimissioni telematiche.

Tale previsione non si applica, tuttavia, se il lavoratore dimostra l’impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano l’assenza.

La norma, come richiesto in numerose occasioni da Confartigianato Imprese, disciplina sostanzialmente le ipotesi di “dimissioni di fatto” o per “fatti concludenti”, fattispecie rispetto alle quali non trova applicazione la disciplina delle c.d. dimissioni on-line”, e, in tal senso, appare una prima risposta alla problematica dell’avvio di una procedura di licenziamento da parte del datore di lavoro, con versamento del relativo ticket, a fronte di un’assenza prolungata da parte del lavoratore non seguita dalla formalizzazione delle dimissioni.

Va, tuttavia, evidenziata la necessità di ulteriori elementi di certezza in merito alla gestione di tali ipotesi, tenuto conto del fatto che l’attuale formulazione della norma non contempla l’automatismo della risoluzione del rapporto di lavoro ma introduce a carico del datore di lavoro un obbligo di comunicazione alla sede competente dell’Ispettorato del lavoro nonché una fase – eventuale - di verifica da parte dell’Ispettorato stesso sulla veridicità della comunicazione.

Non si comprende, peraltro, da quale momento sorga l’obbligo della comunicazione, né quale sia la disciplina che dovrà seguire il datore di lavoro in pendenza dell’eventuale controllo dell’Ispettorato, né si comprendono le modalità e i criteri in base ai quali sarà effettuata la verifica di veridicità.

La formulazione della norma, inoltre, rischia di ingenerare contenzioso in materia anche alla luce della possibilità per il lavoratore di dimostrare l’impossibilità nel comunicare o giustificare la sua assenza, senza che peraltro venga previsto un termine di decadenza per tale contestazione.

  1. Durata del periodo di prova nel contratto a tempo determinato (articolo 13)

La disposizione interviene sul c.d. Decreto Trasparenza e mira ad introdurre una norma di maggiore chiarezza per il contratto a tempo determinato, rispetto al quale il D.lgs. n. 104/2022 aveva fissato il principio della proporzionalità tra durata del periodo di prova e durata del contratto di lavoro, mansioni da svolgere e natura dell'impiego, senza tuttavia fissare criteri per la concreta determinazione del periodo di prova stesso.

In tal senso, la norma prevede che, fatte salve le previsioni più favorevoli della contrattazione collettiva, la durata del periodo di prova nell’ambito del rapporto di lavoro a tempo determinato è fissata in un giorno di effettiva prestazione per ogni 15 giorni di calendario a partire dalla data di inizio del rapporto di lavoro.

Il periodo di prova, in ogni caso:

  • non può essere inferiore a 2 né superiore a 15 giorni per i contratti con durata massima di 6 mesi;
  • non può essere inferiore a 2 e superiore a 30 giorni per i contratti con durata da 6 a 12 mesi.

Anche in tal caso, tuttavia, la formulazione della norma presenta alcuni profili critici sui quali si auspica un intervento chiarificatore del Ministero del Lavoro, in particolare in merito ai criteri per la determinazione del periodo di prova nei contratti di durata superiore a 12 mesi nonché con riguardo alla portata normativa del rinvio alle “previsioni più favorevoli della contrattazione collettiva”.

  1. Interpretazione autentica in materia di attività stagionali (articolo 11)

La disposizione fornisce un’interpretazione autentica ai fini dell’individuazione delle attività stagionali di cui all’articolo 21, comma 2, del D.lgs. n. 81/2015, per le quali, come noto, è previsto un regime di esenzione rispetto ad alcuni profili della disciplina dei contratti a termine (durata massima; limiti quantitativi; rinnovi e proroghe; c.d. “stop and go”).

In particolare, recependo un indirizzo interpretativo già fornito dall’INL, si chiarisce che rientrano nella definizione di attività stagionali non solo quelle previste dal D.P.R. n. 1525/1963 ma anche le attività individuate dai contratti collettivi, compresi quelli già vigenti alla data di entrata in vigore della legge, e riferibili a intensificazioni dell’attività lavorativa in determinati periodi dell’anno, nonché ad esigenze tecnico-produttive o collegate ai cicli stagionali dei settori produttivi.

  1. Disposizioni in materia di apprendistato (articoli 15 e 18)

Il provvedimento interviene anche in materia di apprendistato con due distinte disposizioni, una relativa al finanziamento della formazione nell’ambito di tale tipologia contrattuale (articolo 15) e l’altra riguardante la trasformazione dell’apprendistato di primo livello in apprendistato di terzo livello (articolo 18).

Per quanto riguarda il finanziamento della formazione, l’articolo 15 prevede che, a partire dal 2024, le risorse, pari a 15 milioni annui, finora destinate esclusivamente al finanziamento della formazione di base e trasversale nell’ambito dell’apprendistato professionalizzante, possano essere utilizzate con riferimento a tutte le tipologie di apprendistato.

La norma, quindi, conferisce alle Regioni e Province autonome, la facoltà di finanziare l’attività di formazione per tutte le tipologie di apprendistato, con una previsione che tuttavia potrebbe andare ad impattare sul finanziamento della formazione di base della tipologia di apprendistato più utilizzata, ovvero il professionalizzante.

L’articolo 18, invece, nell’ottica di incentivare e favorire l’instaurazione e la prosecuzione, senza soluzione di continuità, dei percorsi duali in apprendistato, prevede la possibilità di trasformare l’apprendistato di primo livello non solo in apprendistato professionalizzante ma anche in apprendistato di terzo livello.

A tale riguardo si segnala che nel riferirsi all’apprendistato di terzo livello, la disposizione utilizza l’espressione “apprendistato di alta formazione e di ricerca e per la formazione professionale regionale”.

Quest’ultima espressione pone, invero, alcuni dubbi interpretativi rendendo necessario un intervento ministeriale volto a chiarire se il riferimento sia o meno ad una forma di apprendistato diversa ed ulteriore – ovvero l’apprendistato per la formazione regionale – che ad oggi non trova tuttavia riscontro nelle definizioni di cui all’articolo 41 del D.lgs. n. 81/2015.

  1. Somministrazione di lavoro (articolo 10)

La prima modifica riguarda la soppressione del regime transitorio che consentiva fino al 30 giugno 2025 di superare il limite di 24 mesi per le missioni a termine di lavoratori somministrati, qualora fossero stati assunti a tempo indeterminato dall'Agenzia di somministrazione e questa ne avesse comunicato la natura all'utilizzatore.

La seconda introduce importanti novità riguardo alle esenzioni dai limiti quantitativi per i lavoratori somministrati a tempo determinato. L’art. 31, comma 2, del D.lgs. n. 81/2015 stabilisce che il numero dei lavoratori somministrati a tempo determinato non può superare il 30% del numero di lavoratori a tempo indeterminato presenti presso l’azienda utilizzatrice. Tuttavia, questo limite non si applicava esclusivamente ad alcune categorie specifiche, tra cui:

  • Soggetti in mobilità: lavoratori licenziati che si trovano in condizione di mobilità e possono essere riqualificati per il reinserimento nel mercato del lavoro.
  • Soggetti disoccupati che percepiscono da almeno sei mesi trattamenti di disoccupazione non agricola o ammortizzatori sociali: questa categoria include lavoratori che hanno avuto difficoltà a reinserirsi nel mercato del lavoro e che necessitano di un sostegno maggiore.
  • Lavoratori svantaggiati e molto svantaggiati: come definiti dal regolamento (UE) n. 651/2014 della Commissione, includono giovani senza esperienza lavorativa, persone con disabilità, lavoratori di età superiore ai 50 anni e altre categorie con difficoltà di integrazione lavorativa.

Il Collegato Lavoro amplia ulteriormente le categorie di lavoratori esenti dal limite del 30%, introducendo due nuove tipologie:

  1. Lavoratori ai sensi dell’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 81/2015: sono esonerati dal conteggio del limite percentuale i lavoratori somministrati impiegati per:
  • fase di avvio di nuove attività: per i periodi definiti dai contratti collettivi, che possono variare in base al settore e al territorio.
  • start-up innovative: per un periodo di quattro anni dalla costituzione della società o per un periodo inferiore se la società è già costituita.
  • attività stagionali: che comprendono lavori legati a specifiche stagioni, come il turismo estivo e invernale.
  • spettacoli specifici e programmi radiofonici o televisivi: dove è richiesta una professionalità particolare per determinati periodi.
  • sostituzione di lavoratori assenti: per garantire la continuità operativa in caso di maternità, malattia o altri eventi.
  • lavoratori over 50: che, a causa dell’età, potrebbero incontrare maggiori difficoltà a rientrare nel mercato del lavoro.
  1. Lavoratori somministrati con contratto a tempo indeterminato: la riforma esonera dal calcolo dei limiti anche i lavoratori assunti a tempo indeterminato dalle Agenzie per il Lavoro e somministrati a tempo determinato presso un utilizzatore.

Infine, viene apportata una significativa modifica all’articolo 34, comma 2 del D.lgs. n. 81/2015 in materia di causali giustificative al contratto a tempo determinato superiore a 12 mesi stipulato fra l’Agenzia del Lavoro ed il lavoratore. La norma esonera l’Agenzia del Lavoro dall’obbligo di indicare la ragione di apposizione del termine superiore a 12 mesi (art. 19, comma 1, D.lgs. n. 81/2015) qualora il contratto a termine riguardi l’impiego di:

  • soggetti disoccupati che percepiscono da almeno sei mesi trattamenti di disoccupazione non agricola o ammortizzatori sociali;
  • lavoratori svantaggiati o molto svantaggiati come definiti dal regolamento (UE) n. 651/2014 della Commissione, che includono giovani con limitata esperienza lavorativa, persone con disabilità e lavoratori che necessitano di un reinserimento professionale agevolato.
  1. Sospensione del trattamento di integrazione salariale (articolo 6)

L'articolo 6 del Collegato Lavoro introduce una revisione della normativa vigente in materia di compatibilità tra i trattamenti di integrazione salariale, sia ordinari che straordinari, e l'esercizio dell’attività lavorativa, sia sotto forma di lavoro subordinato che di lavoro autonomo.

In particolare, tale disposizione modifica l'articolo 8 del D.lgs. n. 148/2015, ridefinendo le condizioni che consentono ai lavoratori beneficiari della cassa integrazione di intraprendere attività lavorative senza compromettere il diritto al trattamento economico.

Dal 12 gennaio 2025 il lavoratore che svolge attività lavorativa, sia subordinata che autonoma, durante il periodo di integrazione salariale non ha diritto al trattamento economico per le giornate di lavoro effettivamente prestate presso un datore di lavoro diverso da quello che ha richiesto il trattamento stesso.

Secondo la disciplina vigente fino al 11 gennaio, invece, la sospensione del trattamento di integrazione salariale si applica esclusivamente nei casi di lavoro subordinato a termine, con durata superiore a sei mesi, e nei casi di lavoro autonomo. Nel caso di lavoro subordinato a tempo determinato di durata inferiore a sei mesi, le disposizioni attuali (fino al 11.1) prevedono la sospensione del trattamento di integrazione salariale per il periodo di durata del contratto di lavoro.

Inoltre, viene ribadito che il lavoratore perde il diritto al trattamento di integrazione salariale qualora non comunichi preventivamente all'INPS lo svolgimento di attività lavorativa durante il periodo di integrazione salariale.

  1. Lavoro agile e comunicazioni obbligatorie (articolo 14)

In tema di obblighi di comunicazione con riferimento al lavoro agile, è modificato l’art. 23, c. 1, primo periodo della Legge 22 maggio 2017, n. 81.

Come noto, il datore di lavoro è tenuto a comunicare per via telematica il nominativo di ciascun lavoratore con il quale abbia sottoscritto un accordo individuale per lo svolgimento dell’attività di lavoro in modalità di lavoro agile, precisando la data d’inizio e di conclusione del periodo durante il quale la prestazione di lavoro sarà resa secondo tale modalità.

A decorrere dal 12 gennaio 2025, tale comunicazione dovrà essere effettuata entro 5 giorni dall’inizio del suddetto periodo oppure entro il quinto giorno successivo alla modifica o alla cessazione della sua durata.

  1. Dilazione del pagamento dei debiti contributivi (articolo 23)

È prevista la possibilità, dal 1° gennaio 2025, di rateizzare fino ad un massimo di 60 rate mensili i debiti per contributi, premi e accessori di legge, dovuti all’INPS e all’INAIL e non affidati agli agenti della riscossione. Le ipotesi di accesso alla dilazione saranno definite con decreto ministeriale e secondo i requisiti, i criteri e le modalità successivamente stabiliti da un atto emanato dal consiglio di amministrazione di ciascuno dei due enti.

Altre disposizioni di interesse lavoristico in materia di salute e sicurezza del lavoro (articolo 1)

Sorveglianza sanitaria

Con riferimento alla disciplina della visita medica preventiva, con una norma di coordinamento, si specifica che l’ipotesi di visita medica preventiva in fase preassuntiva costituisce una delle modalità di adempimento dell’obbligo di visita medica preventiva e se ne riconosce la competenza esclusiva al medico competente, venendo, quindi, meno la competenza in tal senso delle ASL.

Si prevede, inoltre, che il medico competente, nella prescrizione di esami clinici e biologici e di indagini diagnostiche ritenuti necessari in sede di visita preventiva, tenga conto delle risultanze dei medesimi esami e indagini già effettuati dal lavoratore e risultanti dalla copia della cartella sanitaria e di rischio, al fine di evitarne la ripetizione, qualora il medico stesso lo ritenga compatibile con le finalità della visita preventiva.

Riguardo, invece, l’obbligo di visita medica precedente la ripresa al lavoro, finora previsto per periodi di assenza del lavoratore superiore a 60 giorni continuativi, si prevede che l’obbligo sussiste solo qualora la visita sia ritenuta necessaria dal medico competente che, altrimenti, è tenuto ad esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica.

  • Data inserimento: 10.01.25