Il decreto legislativo 231/2001 intitolato “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica“ ha introdotto per la prima volta la responsabilità dell’ente / impresa nel nostro ordinamento. Tale responsabilità, definita amministrativa, è sostanzialmente penale e scatta nel momento in cui viene realizzato uno dei reati, espressamente previsti, nell’interesse o a vantaggio dell’impresa stessa. Si tratta di una responsabilità che si aggiunge a quella personale dell’autore del reato e comporta l’applicazione di sanzioni (pecuniarie e interdittive) all’azienda quale entità giuridica autonoma.
Ovviamente un’azienda non può commettere reati se non tramite dei soggetti-persone fisiche. Pertanto anche nel campo applicativo del decreto legislativo 231/2001 si può ritenere applicabile un principio tipico della responsabilità civile: l’immedesimazione organica. Così come gli effetti civili degli atti compiuti dagli organi societari s’imputano direttamente alla società, altrettanto può accadere per le conseguenze del reato commesso nell’interesse o vantaggio dell’impresa stessa.
Quali sono i soggetti-persone fisiche che, con il loro operato, possono compromettere l’impresa di cui fanno parte? La normativa individua due categorie: i soggetti in posizione apicale e i sottoposti.
I soggetti in posizione apicale si pongono al vertice della struttura aziendale: si tratta di soggetti che esprimono la volontà dell’impresa e che s’identificano con essa. Essi sono individuati sulla base della funzione esercitata: funzione di rappresentanza (rappresentante legale) o di direzione (direttore generale) o di amministrazione dell’ente (amministratore unico o delegato).
Per sottoposti, invece, s’intendono le persone assoggettate alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti apicali. Nella categoria rientrano in primo luogo i lavoratori subordinati la cui attività lavorativa si estrinseca in una prestazione nell’organizzazione del datore di lavoro e sotto il potere direttivo dello stesso. Per quanto riguarda gli altri soggetti che possono operare per conto dell’azienda e i collaboratori esterni (quali, ad esempio, i consulenti) l’elemento decisivo appare essere la soggezione o meno alla “direzione e vigilanza” e pertanto sarà necessario verificare caso per caso il rapporto contrattuale che lega la persona fisica all’impresa.
Qualora il reato sia posto in essere da soggetti in posizione apicale, proprio per la loro posizione di vertice, la responsabilità ricade automaticamente sull’impresa a meno che la stessa non riesca a dimostrare la sua estraneità provando di aver adottato e attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi e dimostrando l’elusione fraudolenta del modello stesso da parte del soggetto apicale.
Per quanto riguarda i reati commessi dai sottoposti, l’impresa sarà responsabile solo se la commissione del reato (nel suo interesse o vantaggio) è stata resa possibile dall’inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza. Tale inosservanza è esclusa se l’impresa, prima della commissione del reato, ha adottato ed efficacemente attuato il citato modello di organizzazione, gestione e controllo.
Ancora una volta appare essenziale la costruzione preventiva del modello nonché la sua efficace attuazione. In caso contrario, l’impresa si espone al rischio di non potersi difendere per l’operato illecito del suo personale.
Informazioni possono essere richieste alla Confartigianato di Vicenza – Dott.ssa Alessandra Cargiolli – Tel. 0444 168357