L’INPS interviene nuovamente, a distanza di circa due mesi dalla precedente circolare 94 del 12 maggio 2015, per fornire ulteriori chiarimenti su alcuni aspetti specifici, riguardanti la NASpI, non espressamente disciplinati dalla normativa ma che possono avere incidenza sul diritto alla prestazione. Di seguito vediamo i casi che più possono interessare le nostre aziende, rimandando per il resto alla lettura della circolare che alleghiamo alla presente notizia.
Effetti sulla NASpI in caso di rifiuto alle proposte di lavoro o di trasferimento del lavoratore.
Pur essendo ancora in attesa del decreto ministeriale che andrà a disciplinare la c.d. condizionalità alla erogazione dell’indennità NASpI, l’INPS conferma le attuali disposizioni che prevedono la decadenza della prestazione nell’ipotesi di trasferimento del lavoratore ad altra sede della stessa azienda e nell’ipotesi di rifiuto di partecipazione ad iniziative di politica attiva o la non accettazione di un’offerta di lavoro congrua. In quest’ultima ipotesi, il lavoratore manterrà il diritto alla prestazione qualora la sede di lavoro dista oltre 50 km dalla residenza o è raggiungibile mediamente in più di 80 minuti con i mezzi di trasporto pubblico.
Licenziamento con offerta di conciliazione e licenziamento disciplinare.
L’INPS precisa che l’indennità NASpI viene riconosciuta anche nel caso in cui il lavoratore licenziato accetta l’offerta di conciliazione da parte del datore di lavoro, così come disciplinata dal D.Lgs. 23/2015 (tutele crescenti); in questo caso il lavoratore percepisce una somma non imponibile fiscalmente e non assoggettata a contribuzione previdenziale, a fronte dalla rinuncia all’impugnazione del licenziamento. Trattandosi comunque di un licenziamento, l’INPS ribadisce che spetta al lavoratore l’indennità NASpI.
L’istituto poi conferma che l’indennità NASpI spetta anche nei casi di licenziamento per motivi disciplinari; in questa ipotesi, infatti, pur trattandosi di una risoluzione del rapporto per fatti addebitati al lavoratore, non si può ritenere che tal licenziamento sia da intendersi quale evento da cui deriva disoccupazione volontaria
Requisito contributivo: 13 settimane di contribuzione versata nei quattro anni precedenti la disoccupazione – Meccanismo di neutralizzazione
Nella circolare 142 l’INPS affronta il sistema del calcolo delle 13 settimane di contribuzione negli ultimi 4 anni che danno diritto ad accedere alla NASpI, soffermandosi sul meccanismo di neutralizzazione dei periodi nei quali non c’è stato versamento contributivo. I pratica, al verificarsi di determinati eventi, che sono considerati neutri, il quadriennio viene ampliato in misura pari alla durata dell’evento che non ha dato luogo a versamento contributivo. L’INPS tuttavia chiarisce che i periodi di inoccupazione o disoccupazione non danno luogo a neutralizzazioni ed a conseguenti ampliamenti del quadriennio.
I casi che determinano il meccanismo di neutralizzazione sono diversi, ad es. ricorso alla CIGO a zero ore, periodi di malattia senza integrazione a carico azienda, periodi di lavoro svolti all’estro in paesi non convenzionati ecc….. Per quanto riguarda le imprese artigiane, importante è l’estensione del meccanismo di neutralizzazione anche per i periodi di CIG in deroga; sul punto l’Istituto considera la CIG in deroga alla stregua degli altri ammortizzatori ordinari (CIGO e CIGS), pertanto consente la neutralizzazione e il corrispondente ampliamento del quadriennio e del periodo di dodici mesi precedenti la cessazione del rapporto di lavoro per la ricerca del requisito delle trenta giornate di effettivo lavoro.
Domanda di indennità di mobilità o di indennità di disoccupazione
Nella circolare l’INPS interviene anche in merito alla possibilità per il lavoratore di optare per la prestazione di mobilità e la prestazione di disoccupazione NASpI; nello specifico l’INPS ricorda che si tratta di due istituti completamente diversi, sia per ciò che concerne la contribuzione versata dal datore di lavoro, sia per la tipologia dell’intervento - la NASpI consegue ad un licenziamento individuale, l’indennità di mobilità è conseguenza di un licenziamento collettivo. Inoltre, in merito ai requisiti di accesso alla prestazione, per la NASpI valgono le indicazioni di cui sopra (almeno 13 settimane di versamento negli ultimi 4 anni e 30 giornate di effettivo lavoro nei 12 mesi precedenti), per la mobilità è richiesta un’anzianità aziendale di almeno 12 mesi, di cui 6 di effettivo lavoro. Infine risulta diversa anche la misura delle prestazione e le eventuali agevolazioni per coloro che dovessero assumere tali lavoratori.
Posto quanto sopra l’INPS precisa che, nell’ipotesi di licenziamento collettivo (cioè quando vengono licenziati almeno 5 lavoratori per giustificato motivo oggettivo nell’arco di 120 gg.), il lavoratore accede esclusivamente all’indennità di mobilità, sempreché sia in presenza di tutti i requisiti e non può richiedere la NASpI. Solo nel caso di reiezione della domanda di indennità di mobilità, il lavoratore potrà presentare domanda di NASpI, sempre ricorrendone i presupposti, come sopra indicati.
Effetti del lavoro accessorio sull’indennità NASpI
Con le modifiche introdotte dal D.Lgs. 81/2015 (riordino dei contratti), è stato elevato a 7.000 euro il limite annuo che consente al lavoratore di fare ricorso a prestazioni di lavoro accessorio. Sempre nello stesso decreto è previsto che prestazioni di lavoro accessorio possono essere rese, in tutti i settori produttivi, nel limite massimo di 3.000 euro per anno civile, da percettori di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito. Alla luce di quanto sopra, l’INPS chiarisce che l’indennità NASpI è interamente cumulabile con i compensi derivanti dallo svolgimento del lavoro accessorio, nel limite complessivo di 3.000 euro per anno civile. In questi casi il beneficiario dell’indennità NASpI è tenuto a comunicare all’INPS, entro un mese dall’inizio della prestazione di lavoro accessorio, il compenso derivante dalla predetta indennità.
Effetti del lavoro intermittente sull’indennità NASpI
Per disciplinare il rapporto tra la NASpI ed il lavoro intermittente, l’INPS distingue tra il lavoro intermittente con obbligo di risposta alle chiamate del datore di lavoro e diritto all’indennità di disponibilità e lavoro intermittente senza obbligo di rispondere alle chiamate e senza diritto all’indennità di disponibilità.
Nel primo caso, alla luce delle novità introdotte dal D.Lgs. 22/2015 in materia di cumulo tra la prestazione di disoccupazione e il reddito da lavoro dipendente, in caso di rioccupazione del beneficiario della NASpI con rapporto di lavoro intermittente con obbligo di risposta alla chiamata, sarà possibile cumulare la prestazione di disoccupazione con il reddito da lavoro dipendente, comprensivo dell’indennità di disponibilità, qualora quest’ultimo non superi il limite di 8.000 euro richiesto per il mantenimento dello stato di disoccupazione.
Nel caso in cui il beneficiario della NASpI si rioccupi con contratto di lavoro intermittente senza indennità di disponibilità, l’indennità di disoccupazione NASpI resta sospesa per le sole giornate di effettiva prestazione lavorativa e può essere riconosciuta limitatamente ai periodi interni al contratto non interessati da prestazione lavorativa tra una chiamata e l’altra. Tuttavia, anche per tale tipologia di lavoro intermittente, è ammesso il cumulo della prestazione di disoccupazione con il reddito da lavoro dipendente qualora quest’ultimo non superi il limite annuo di 8.000 euro; in questo caso il lavoratore è tenuto a comunicare all’INPS, entro 30 gg. dalla ripresa dell’attività lavorativa, il reddito annuo che prevede di trarre dalla stessa.
Va peraltro precisato, con riferimento a quest’ultima fattispecie, che nel caso di un lavoratore non percettore di NASpI, che sia titolare di un contratto di lavoro intermittente senza obbligo di risposta alle chiamate e senza indennità, per i periodi interni al contratto nei quali non svolge attività lavorativa, non potrà richiedere la NASpI; ciò in quanto i periodi di inattività non costituiscono disoccupazione involontaria.