Con sentenza 28/06/2011 il Tribunale di Venezia – Sezione distaccata di San Donà di Piave – aveva ritenuto i titolari di un’impresa responsabili del reato di gestione di rifiuti non autorizzata di cui all’art. 256, comma 1 del D. LGS. 152/2006.
Secondo tale norma “chiunque effettua un’attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento , commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione , iscrizione o comunicazione“ è punito con la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro (se si tratta di rifiuti non pericolosi); con la pena dell'arresto da sei mesi a due anni e con l'ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro (se si tratta di rifiuti pericolosi).
Secondo il giudice di merito i titolari dell’impresa, mossi da valutazioni di mera convenienza economica, sono venuti meno all’obbligo di verifica delle autorizzazioni (obbligo che la stessa attività imprenditoriale impone) ed hanno affidato i propri rifiuti a un impianto non abilitato.
A nulla è valsa l’impugnazione della sentenza da parte dei difensori degli imputati. La Corte di Cassazione, con decisione 11 luglio 2013 n. 29727, ha rigettato il ricorso.
In primo luogo la Corte ha ricordato come i produttori di rifiuti hanno una responsabilità nella gestione degli stessi. Secondo la norma vigente all’epoca dei fatti, tale responsabilità viene meno nel caso di conferimento dei rifiuti a soggetti autorizzati alle attività di recupero o di smaltimento purché il detentore abbia ricevuto il formulario controfirmato e datato in arrivo dal destinatario entro tre mesi dalla data di conferimento dei rifiuti al trasportatore ovvero, alla scadenza del predetto termine, abbia provveduto a dare comunicazione alla Provincia della mancata ricezione del formulario (art. 188, comma 3, D. LGS. 152/2006)
Pertanto il detentore dei rifiuti può assegnare la raccolta, il trasporto e lo smaltimento a soggetti privati “che svolgano per suo conto tali attività” ma in tal caso ha l’obbligo di controllare che gli stessi siano autorizzati.
Se “tale doverosa verifica sia omessa” il produttore di rifiuti “risponde a titolo di colpa per inosservanza della citata regola di cautela imprenditoriale” dei reati di illecita gestione di rifiuti.
Tale responsabilità non viene meno per il fatto che il terzo (gestore di rifiuti) sia munito di autorizzazione relativa a rifiuti diversi da quelli oggetto di conferimento, in quanto in tal caso manca la autorizzazione per i rifiuti conferiti .
Inutile anche il tentativo della difesa di richiedere la causa di non punibilità prevista dall’art. 48 c.p. (errore determinato dall’altrui inganno) per i titolari dell’impresa sulla base del fatto che il trasportatore li aveva ingannati circa la sussistenza del richiesto titolo abilitativo per lo smaltimento dei rifiuti, mediante l’esibizione dell’autorizzazione al trasporto che contemplava i codici cer dei rifiuti effettivamente conferiti e la verbale dichiarazione di essere in possesso anche dell’autorizzazione per lo smaltimento.
La Corte ribadisce che i produttori di rifiuti non possono “fare affidamento sulle rassicurazioni verbali del trasportatore”.
Appare ormai assodato il principio in base al quale l’imprenditore ha l’obbligo di attivarsi secondo diligenza nella fase di gestione dei rifiuti.
Dal punto di vista della normativa, il produttore di rifiuti costituisce il primo presidio per il rispetto della legalità: su di lui incombe anche una responsabilità sociale, oltre che giuridica, che impone tutta una serie di verifiche e cautele a cui non può sottrarsi.