Un datore di lavoro fu condannato per un infortunio a un lavoratore addetto a lavori di pulizia caduto da una scala a pioli per eccesso di stanchezza a fine giornata lavorativa e all’ultimo vetro da pulire in quel specifico sito. L’addebito mosso al datore di lavoro fu quello di non avere effettuato la valutazione del rischio da caduta dall’alto, da posture incongrue e da stress lavoro ripetitivo. Secondo il Tribunale “l’organo di vigilanza aveva impartito una prescrizione avente quale contenuto proprio la valutazione dei rischi in oggetto e la stessa era stata adempiuta, sicché la valutazione dei rischi di allora conteneva la previsione di un’apposita procedura, che limita la durata di tali operazioni, per evitare affaticamenti e rischi derivanti da lavori ripetitivi, con l’assegnazione del lavoratore ad altra mansione che non comporti affaticamento bio-meccanico ogni due ore di lavoro di pulizia di vetri con scale o trabatelli, nonché altre misure ancora dirette a fronteggiare i rischi in questione”; e “tra la trasgressione cautelare e l’infortunio vi era un nesso eziologico, poiché l’evento era stato determinato dalla situazione di stress e di stanchezza del lavoratore, dovuta all’effettuazione in serie di un lavoro ripetitivo e che richiedeva una postura e dei movimenti disergonomici, con accentuazione dei rischi a causa delle modalità operative correnti, quali il trasporto delle necessarie attrezzature di pulizia da parte del lavoratore , durante la salita sulla scala, e la necessità di svolgere il lavoro in tempi estremamente ristretti”. La Cassazione conferma quindi la condanna in quanto dichiara che “risulta accertato che l’imputato omise di elaborare, all’esito della valutazione dei rischi, il prescritto documento contenente una relazione esaustiva dei rischi per la sicurezza e la salute sui luoghi di lavoro, con riguardo ai rischi specifici dei lavoratori addetti alle pulizia dei vetri relativamente al pericolo di caduta dall’alto, alle posture incongrue e allo stress da lavoro ripetitivo. Ad un estremo giudizio di causalità si pone quindi l’omissione identificativa del processo: l’evento fu determinato dalle modalità di lavoro che, non erano state adeguatamente analizzate in funzione dei correlati rischi per i lavoratori addetti, determinarono una condizione di stress e di stanchezza del lavoratore, generata dall’effettuazione di un lavoro ripetitivo, implicante una postura e dei movimenti disergonomici ed inoltre ulteriormente reso faticoso dalla necessità di provvedere al trasporto delle necessarie attrezzature di pulizia, durante la salita sulla scala, e dalla necessità di svolgere il lavoro in tempi estremamente ristretti. Nella sequenza degli accadimenti che esitarano nell’infortunio non intervenne alcun fattore estraneo all’esecuzione del lavoro, sicché è altamente probabile che se quelle condizioni di lavoro fossero state differenti (quelle poste successivamente al sinistro), l’infortunio non si sarebbe verificato”.