Si addebita alla sentenza impugnata di avere escluso il
rischio elettivo da parte del dipendente, senza motivare
sul punto, mentre, viceversa, il lavoratore aveva tenuto
un comportamento anomalo e imprevedibile utilizzan-
do per piegare il ferro non già la morsa bensì l’incudine,
lavoro questo al quale non era stato adibito.
4.
Il primo e il terzo motivo, che per ragioni di connessione
vanno trattati congiuntamente, non sono fondati.
E’ principio consolido di questa Corte che le norme det-
tate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro,
tese ad impedire l’insorgenza di situazioni pericolose,
sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli in-
cidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da
quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed impruden-
za dello stesso, con la conseguenza che il datore di lavo-
ro è sempre responsabile dell’infortunio occorso al lavo-
ratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure
protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste
misure venga fatto effettivamente uso da parte del di-
pendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimen-
te, per l’imprenditore, all’eventuale concorso di colpa del
lavoratore, la cui condotta può comportare, invece, l’eso-
nero totale del medesimo imprenditore da ogni respon-
sabilità solo quando presenti i caratteri dell’abnormità,
inopinabilità ed esorbitanza, necessariamente riferiti al
procedimento lavorativo “tipico” ed alle direttive ricevu-
te, così da porsi come causa esclusiva dell’evento (cfr.,
fra le altre, Cass. 24 marzo 2004 n. 5920; Cass. 8 marzo
2006 n. 4980; Cass. 23 aprile 2009 n. 9689; Cass. 10
settembre 2009 n. 19494; Cass. 25 febbraio 2011 n.
4656).
E’ altresì pacifico che il dovere di sicurezza a carico del
datore di lavoro a norma dell’art. 2087 cod. civ., si atteg-
gia in maniera particolarmente intensa nei confronti dei
lavoratori di giovane età e professionalmente inesperti,
esaltandosi in presenza di apprendisti nei cui confronti
la legge pone precisi obblighi di formazione e addestra-
mento, senza che in contrario possa assumere rilievo
l’imprudenza dell’infortunato nell’assumere un’iniziati-
va di collaborazione nel cui ambito l’infortunio si sia
verificato (cfr. Cass. 18 maggio 2007 n. 11622; Cass. 24
gennaio 2012 n. 944 e, in precedenza, Cass. 12 gennaio
2002 n. 326; Cass. 2 ottobre 1998 n. 9805).
Nella specie, la Corte di merito correttamente ha ritenu-
to che l’infortunio si è verificato a seguito di una con-
dotta non certo imprevedibile e abnorme del lavoratore,
consistita nel piegare i tondini di ferro utilizzando l’in-
cudine ed un martello anziché la morsa.
Ha fatto poi buon governo dei principi sopra richiama-
ti, affermando che il datore di lavoro o un suo preposto
non solo avrebbe dovuto mettere a disposizione dell’ap-
prendista gli occhiali protettivi ed istruire il medesimo
sull’esatto svolgimento della prestazione, ma avrebbe
dovuto vigilare affinché venisse fatto effettivamente uso
di tali occhiali e la prestazione venisse eseguita in con-
formità alle istruzioni impartitegli, tanto più che il lavo-
ratore di giovane età ed assunto da meno di venti giorni
era totalmente privo di esperienza.
Deve escludersi il dedotto vizio di contraddittorietà del-
la motivazione. Ed infatti se è vero che il giudice d’ap-
pello ha dato atto che nel luogo di lavoro vi erano gli
occhiali protettivi e che essi, per disposizione del da-
tore di lavoro, dovevano essere indossati allorché ve-
nivano eseguiti lavori che comportavano la formazione
di schegge, tuttavia ha ritenuto responsabile il datore
di lavoro sotto un diverso profilo, e cioè per non avere
esercitato, attraverso il capo officina o altri, la dovuta
vigilanza sia in ordine alla corretta esenzione del lavoro
affidato al lavoratore che all’effettivo uso da parte del
medesimo delle misure protettive.
5.
Quanto infine al secondo motivo, irrilevante è il dedotto
errato richiamo, a pagina 12 della sentenza impugnata,
dell’art. 2049 c.c. (Responsabilità dei padroni e com-
mittenti), risultando univocamente dalla stessa senten-
za che la responsabilità del datore di lavoro è stata fatta
discendere dalla violazione dell’art. 2087 c.c. - secon-
do cui l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio
dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del
lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tute-
lare l’integrità fisica e la personalità morale dei presta-
tori di lavoro - nonché dalla violazione del generale ob-
bligo di vigilanza, ed in particolare dalla specifica vio-
lazione del d.p.r. n. 547 del 1955, art. 4, lett. c), in base
al quale il datore di lavoro deve disporre ed esigere che
i singoli lavoratori osservino le norme di sicurezza ed
usino i mezzi di protezione messi a loro disposizione.
6.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato, previa condan-
na della società ricorrente al pagamento delle spese del
presente giudizio, come in dispositivo.
P.Q.M.
La corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente
al pagamento delle spese del presente giudizio che liqui-
da in € 40,00 per esborsi ed € 4.000,00 per compensi
professionali, oltre accessori come per legge.
• • •
sistemi e categorie
14
Artigianato Artistico. Legge n. 7 del
14.01.2013. Modifica della disciplina
transitoria del conseguimento delle qualifiche
professionali di restauratore di beni culturali
e di collaboratore restauratore di beni
culturali.
Informiamo che è stata pubblicata in G.U. dello scor-
so 30 gennaio la Legge 14.01.2013 n. 7, che modifica
le norme contenute all’articolo 182 decreto legislativo
22.01.2004, n. 42, Codice dei Beni culturali e del Pa-
esaggio.
La Categoria dei restauratori di beni d’interesse artisti-
co culturale chiedeva da tempo la modifica dell’artico-
lo 182 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42,
che nella sua stesura risultava fortemente ed ingiusta-
mente penalizzante per molti degli operatori, perché
limitava la possibilità per i restauratori di far valere le
esperienze professionali e lavorative da loro prestate
dopo il termine in esso previsto. La norma di modifi-
ca ora approvata va nella direzione da sempre indicata
da Confartigianato di riconoscere il lavoro prestato in
questi anni dai restauratori, che a causa di una tardiva
e farraginosa attuazione della norma rischiava di esse-
re vanificato.
La modifica della norma prevede per il riconoscimento
della qualifica, secondo i casi, il conseguimento di di-
plomi specifici (di laurea universitaria, di scuole di re-
stauro e di accademie di belle arti, ecc.) e lo svolgimen-
to di periodi di attività di restauro con regolare esecu-
zione certificata.
Quindi, quanti possono far valere soltanto l’attività la-
vorativa, come tanti restauratori artigiani (sia in pro-
prio, sia come dipendente, sia con collaborazione co-
ordinata e continuativa, sia a progetto) e ne abbiano
documentazione certa per almeno otto anni (pari a
300 punti), potranno richiedere il riconoscimento della
qualifica professionale di restauratore di beni culturali.
Al computo degli otto anni di attività svolta contribu-
iscono anche attività lavorative in essere alla data del
14 febbraio 2013 (la Legge non considera però i lavori
presi in carico dopo questo termine) e che si conclude-
ranno entro la data del 31 dicembre 2014.
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InformaImpresa
Venerdì
8
marzo
2013