Il bruciare rifiuti vegetali senza che il fine ultimo sia quello del reimpiego come fertilizzante può configurarsi come gestione illecita di rifiuti (articolo 256 del decreto legislativo 152/2006). Se la combustione è finalizzata all’eliminazione del rifiuto, non può essere applicato l’articolo 182, comma 6-bis del decreto legislativo 152/2006, che esclude dall’attività di gestione dei rifiuti le attività di raggruppamento e abbrucciamento in piccoli cumuli e in quantità giornaliere non superiori a tre metri steri per ettaro di paglia, sfalci e potature (di cui all’articolo 185, comma 1, lettera f), effettuate nel luogo di produzione, in quanto costituenti normali pratiche agricole consentite per il reimpiego dei materiali come sostanza concimanti e ammendanti, e non attività di gestione dei rifiuti.
La Corte di Cassazione ha quindi rigettato il ricorso proposto avverso la sentenza 18/12/2017, n. 56277, con la quale il tribunale di Brindisi aveva condannato l’imputato per il reato di gestione non autorizzata di rifiuti per aver bruciato su un terreno del quale aveva la materiale disponibilità, rifiuti vegetali altrove prodotti in assenza di valido titolo abilitativo.
Nella sostanza la Corte ha confermato la sentenza del tribunale territoriale, sulla base di quanto agli atti che dimostra che il materiale vegetale bruciato non è stato prodotto sul terreno dove è avvenuta la combustione e che questa non era finalizzata al reimpiego come concime o ammendante dei residui, bensì alla mera eliminazione del rifiuto.