La Corte di Appello di Bari aveva confermato la pronuncia di primo grado con la quale l’imputato era stato assolto, con la formula «perché il fatto non sussiste», dal delitto di omicidio colposo, a lui contestato come commesso nella qualità di coordinatore per l'esecuzione delle opere, avendo consentito che il datore di lavoro di un’azienda scendesse all'interno di uno scavo effettuato per la posa in opera di tubi di acqua e fogna, senza che esso fosse provvisto di pareti protettive, sicché lo stesso rimaneva travolto, mentre si trovava all'interno dello scavo, a circa tre metri di profondità, da un improvviso smottamento del terreno che lo seppelliva, cagionandone la morte.
Secondo la Corte d'appello, l'incidente era da ricondurre alla mera imprudenza della vittima che era sceso nello scavo, senza alcuna effettiva esigenza della lavorazione. In particolare, dall'istruttoria svolta, era emerso che: la vittima era il titolare della ditta che stava effettuando lo scavo ed era il dominus dei lavori al momento dell'incidente; lo scavo era finalizzato alla posa di tubazioni di fognatura; il lavoro veniva effettuato da un escavatore e la necessità di entrare all'interno dello scavo vi era solo dopo il posizionamento delle tubazioni, per procedere all'aggancio del nuovo tubo a quello già posizionato; al momento dell'incidente, il tubo non era stato ancora posizionato e quindi nessuna necessità tecnica imponeva di scendere nello scavo; poco prima del fatto la vittima aveva ordinato di sospendere il lavoro ed aveva detto ad un operaio che andava giù per un bisogno fisiologico; tale condotta era connotata da assoluta abnormità, considerato che il soggetto era il titolare della impresa e, quindi, aveva piena consapevolezza del rischio di accedere allo scavo.
La Corte di Cassazione ha successivamente annullato con rinvio la decisione di secondo grado, e di conseguenza il coordinatore di cantiere ha presentato ricorso per ottenere l’annullamento di tale sentenza nei confronti di moglie e figli del soggetto deceduto (parti civili).
Va precisato che in materia di infortuni sul lavoro, il coordinatore per l'esecuzione dei lavori, oltre ad assicurare il collegamento fra impresa appaltatrice e committente al fine di realizzare la migliore organizzazione, ha il compito di vigilare sulla corretta osservanza delle prescrizioni del piano di sicurezza da parte delle stesse e sulla scrupolosa applicazione delle procedure a garanzia dell'incolumità dei lavoratori nonché di adeguare il piano di sicurezza in relazione alla evoluzione dei lavori, con conseguente obbligo di sospendere, in caso di pericolo grave e imminente, le singole lavorazioni. La Corte di legittimità ha più volte ribadito la necessità di garantire la sicurezza dell'ambiente di lavoro, indipendentemente dalla attualità della attività e, quindi, anche in momenti di pausa, riposo o sospensione del lavoro; perfino per danni che possano derivare a terzi e non ai lavoratori addetti.
Il coordinatore per l'esecuzione, in materia di sicurezza sul lavoro, è titolare di una autonoma posizione di garanzia che, nei limiti degli obblighi specificamente individuati dalle disposizioni vigenti, si affianca a quelle degli altri soggetti destinatari delle norme. Ne consegue che l'incidente deve essere ritenuto conseguenza di una pluralità di autonome condotte eziologicamente legate all'evento, tra le quali quella della stessa vittima, che ha posto in essere una condotta gravemente imprudente pur essendo pienamente conscio dei relativi rischi, e del coordinatore per la esecuzione delle opere.
Non vi è dubbio che il coordinatore per l'esecuzione dei lavori abbia un'autonoma funzione di alta vigilanza circa la generale configurazione delle lavorazioni che comportino rischio interferenziale, e che non sia, però, tenuto anche ad un puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative, che è invece demandato ad altre figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto), salvo l'obbligo, oggi previsto dall'art. 92, lettera f), del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, di adeguare il piano di sicurezza in relazione all'evoluzione dei lavori e di sospendere, in caso di pericolo grave e imminente direttamente riscontrato, le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti da parte delle imprese interessate.
In ricorso del coordinatore di cantiere è stato dichiarato infondato e quindi rigettato con, condanna del ricorrente al pagamento elle spese processuali, nonché alla rifusione in favore delle parti civili oltre a quelle processuali.
In allegato la sentenza della Corte di Cassazione 10/04/2017, n. 17906.