Con la circolare n 5 del 11 febbraio 2011, il Ministero del lavoro opera una ricognizione delle principali problematiche legate agli appalti e ai subappalti di lavori, servizi e forniture, fornendo indicazioni precise sui criteri che le imprese devono rispettare per non incorrere nella violazione delle norme che regolamentano la materia.
Posto che la disciplina degli appalti è certamente complessa e di difficile gestione, la nota del Ministero offre lo spunto per analizzare, schematicamente, gli elementi essenziali dell’istituto dell’appalto, specie in un momento come questo nel quale è sempre più frequente il riscorso a processi di esternalizzazione di diverse fasi del ciclo produttivo.
E’indubbio che la presente trattazione affronta solo alcuni aspetti della disciplina degli appalti e non può risultare esaustiva, tuttavia può essere un primo supporto a disposizione delle aziende per inquadrare le diverse problematiche connesse alla gestione degli appalti, con particolare riferimento alla gestione dei rapporti di lavoro.
APPALTO “GENUINO”
Il D.lgs. 276/03 (legge Biagi) ha apportato rilevanti modifiche in materia di appalto, con la finalità di adeguare l’istituto ad una realtà che è profondamente variata in questi ultimi anni.
Ricordiamo che ai sensi dell’art. 1655 c.c. l’appalto è il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il
compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro.
In base alla definizione sopra citata, gli elementi che caratterizzavano l’appalto erano sostanzialmente due:
- organizzazione dei mezzi necessari, intesa di fatto come disponibilità dei mezzi di produzione e dei beni materiali in capo all’appaltatore, in connessione con l’autonomia funzionale e gestionale;
- assunzione del rischio d’impresa da parte dell’appaltatore.
La legge Biagi, nella prospettiva di distinguere l’appalto dalla somministrazione di lavoro, interviene ampliando notevolmente il concetto di appalto.
Infatti, l’art. 29 stabilisce che si ha un vero contratto di appalto in presenza di un’effettiva organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto.
Oggi possiamo dire che i criteri che contraddistinguono e legittimano il c.d. appalto genuino sono sostanzialmente tre:
1. l’organizzazione dei mezzi, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto;
2. l’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori impiegati nell’appalto;
3. L’assunzione del rischio di impresa da parte dell’appaltatore
Dalla nuova definizione di appalto si può chiaramente intuire che l’elemento della disponibilità dei mezzi di produzione, che aveva identificato l’appalto in precedenza, pur rimanendo un elemento caratterizzante della fattispecie, soprattutto per particolari tipi di appalto, non appare più come elemento essenziale, mentre assume particolare rilevanza il concetto di esercizio del potere direttivo ed organizzativo sul personale impiegato, oltre, chiaramente, al rischio di impresa.
Sul punto già il Ministero, rispondendo ad un interpello del 2009, aveva affermato che non rientra nell’ambito dell’appalto illecito il caso dell’appaltatore che, nell’esercizio della propria attività, pur essendo fornito di adeguata organizzazione per l’esecuzione della prestazione o del servizio, si avvale delle attrezzature del committente in quanto sprovvisto di una macchina particolare, purchè la responsabilità del loro utilizzo rimanga totalmente in capo all’appaltatore e purchè, attraverso la fornitura di tali mezzi, non sia invertito il rischio di impresa, che deve sempre essere in capo all’appaltatore
In sostanza, il legislatore ha voluto evidenziare che è appaltatore colui che risulta essere l’effettivo datore di lavoro, cioè la persona cui è riconosciuto il potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori impiegati nell’appalto.
Soprattutto negli appalti c.d. labour intensive, nei quali l’apporto di attrezzature e capitali è marginale rispetto a quello delle prestazioni lavorative, il criterio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori appare come elemento essenziale per qualificare un appalto genuino.
Fermo quanto sopra, va tuttavia rilevato come il concetto di organizzazione dei mezzi, inteso come insieme dei beni materiali connessi all’esecuzione dell’appalto, costituisce pur sempre un elemento caratterizzante la figura dell’appalto, specie se riferita ad appalti complessi nei quali assume notevole rilevanza l’utilizzo dei mezzi.
L’altro elemento caratterizzante l’appalto lecito è rappresentato dal rischio d’impresa, inteso come elemento di incertezza che caratterizza i risultati economici dell’attività svolta dall’appaltatore.
Sul punto la circolare ministeriale, a mero titolo esemplificativo e non esaustivo, elenca alcuni indici che possono rilevare la sussistenza del rischio d’impresa:
Ricapitolando i concetti sin qui espressi, possiamo affermare che oggi l’appalto genuino può essere identificato anche sulla base del potere organizzativo dell’appaltatore nei confronti dei lavoratori impiegati nell’appalto (l’appaltatore non deve risultare un mero intermediario di manodopera), ferma restando, soprattutto nei casi più complessi, sia la necessaria presenza di organizzazione di tipo imprenditoriale, caratterizzata dalla disponibilità dei mezzi e dei beni materiali in capo all’appaltatore, sia l’assunzione del rischio d’impresa da parte dell’appaltatore.
APPALTO ILLECITO
La circolare del Ministero del lavoro ribadisce la c.d. “tolleranza zero” nei confronti dei pseudo appalti, cioè di quelle forme di appalto prive delle condizioni basilare sopra citate, che si traducono, secondo quanto indicato dal Ministero, in una forma particolarmente grave di sfruttamento del lavoro.
Posto quanto sopra, va in primo luogo rilevato che a fronte di un appalto illecito, per effetto dell’art. 18, comma 5-bis del D.Lgs. 276/2003, l’utilizzatore ed il somministratore sono puniti con la pena dell’ammenda di € 50 per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione. Trattandosi di una reato per il quale è prevista la contravvenzione, esso può essere estinto mediante l’ottemperanza al provvedimento di prescrizione obbligatoria impartito dagli ispettori del lavoro, che imporrà la cessazione immediata del pseudo appalto.
Va precisato che qualora venga accertato lo sfruttamento di minori nell’ambito dell’appalto illecito, le conseguenze sanzionatorie sono molto più pesanti; in questi casi, infatti, è prevista la pena dell’arresto fino a diciotto mesi e l’aumento dell’ammenda sopra indicata fino al sestuplo. In questi casi non è prevista la procedura della prescrizione obbligatoria.
Oltre alle conseguenze di carattere sanzionatorio, al fine di salvaguardare i diritti dei lavoratori, la legge prevede, a tutela degli stessi, la possibilità di chiedere direttamente la costituzione del rapporto di lavoro alle dipendenze del soggetto che ha utilizzato la prestazione. In questi casi spetterà comunque alla magistratura accertare l’illiceità dell’appalto e riconoscere ai lavoratori il diritto ad essere assunti alle dipendenze del soggetto che ha utilizzato la prestazione di lavoro.
APPALTO FRAUDOLENTO
Nei casi in cui l’appalto illecito viene posto in essere al fine di eludere, in tutto o in parte, i diritti dei lavoratori derivanti da disposizioni inderogabili di legge o di contratto collettivo, si realizza anche l’ipotesi di reato di somministrazione fraudolenta, di cui all’art. 28 del D.Lgs. 276/2003. In questo caso il trasgressore viene punito con la ulteriore pena dell’ammenda di euro 20 per ciascun lavoratore coinvolto e per ogni giorno di impiego, che si aggiunge a quella sopra citata per l’appalto illecito.
Peraltro, in questo caso, diversamente da quanto previsto per l’appalto illecito, gli ispettori del lavoro dovranno adottare la prescrizione obbligatoria imponendo al datore di lavoro di regolarizzare, alle proprie dipendenze i lavoratori impiegati, per la durata dell’effettivo impiego nel presunto appalto.
Ciò è la diretta conseguenza della nullità del contratto di appalto, a prescindere dall’esistenza o meno di un contratto scritto.
OBBLIGHI RETRIBUTIVI
Nell’ambito della disciplina degli appalti riveste un particolare rilievo la questione degli obblighi di carattere retributivo connessi all’utilizzazione dell’istituto.
Va detto preliminarmente che, con l’abrogazione della legge 1369/60, non solo è stata eliminata la distinzione tra appalti esterni e appalti interni, prevedendo quindi la possibilità che un’azienda appalti al proprio interno parte della sua produzione (pur nel rispetto delle condizioni sopra citate), ma ha fatto venir meno il principio di parità di trattamento tra dipendenti dell’appaltante e dell’appaltatore e di conseguenza ha eliminato il principio dell’obbligazione solidale in senso generale che operava sotto la previgente legge.
Sul punto, tuttavia, la circolare n. 5/2011, soprattutto con riferimento agli appalti privati, nel richiamare quanto stabilito dall’art. 1, comma 1175 della legge 296/06 (Legge Finanziaria), ricorda che ai fini della fruizione dei benefici normativi e contributivi, devono essere rispettati gli accordi e i contratti collettivi nazionali nonché quelli regionali, territoriali o aziendali, laddove sottoscritti, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
In pratica, il trattamento retributivo da garantire ai lavoratori deve rispettare integralmente i minimi retributivi previsti dalla contrattazione collettiva, con evidenti ricadute positive per ciò che concerne l’equità nell’applicazione delle tariffe minime retributive previste nei contratti di appalto.
Ciò assume un particolare rilievo nel settore artigiano, tenuto conto che qualora l’impresa non aderisca al sistema della bilateralità, deve corrispondere l’ elemento aggiuntivo della retribuzione, pari a 25 euro mensili, così come previsto dall’Accordo Interconfederale del 23 luglio 2009.
Allo stesso modo per l’edilizia, settore per il quale l’applicazione del contratto collettivo nella sua parte economico-normativa prevede l’iscrizione e il versamento della contribuzione agli enti bilaterali, anche ai fini del rilascio del DURC.
La questione del rispetto dei minimi contrattuali assume un rilievo particolare anche perciò che concerne gli appalti pubblici. La circolare 5/0211 richiama a tal proposito l’art. 36 della legge 300/1970 (Statuto dei lavoratori), il quale stabilisce che negli appalti pubblici deve essere inserita la clausola esplicita determinante l’obbligo per il beneficiario o appaltatore di applicare o far applicare nei confronti dei lavoratore dipendenti condizioni non inferiori a quelle risultanti dai contratti collettivi di lavoro della categoria o della zona. Tale obbligo deve essere osservato sia nella fase di realizzazione degli impianti o delle opere che in quella successiva, per tutto il tempo in cui l’imprenditore benefica delle agevolazioni finanziarie e creditizie concesse dallo stato ai sensi delle vigenti disposizioni di legge
Interamente connessa al rispetto degli obblighi retributivi è l’ulteriore questione relativa alla corretta determinazione del costo degli appalti pubblici. Sul punto la circolare ministeriale, partendo da una valutazione del Codice dei Contrati Pubblici e del T.U. sulla Sicurezza, sottolinea l’esigenza, da parte delle Stazioni Appaltanti, di porre la massima attenzione proprio sui costi del lavoro e della sicurezza che non possono mai essere soggetti a ribassi d’asta. Di conseguenza, gli enti aggiudicatori, sono tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro e al costo relativo alla sicurezza, il quale deve essere specificatamente indicato e risultare congruo rispetto all’entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture, così come previsto dal D.Lgs. 163/2006
REGIME DI RESPONSABILITA’ SOLIDALE
Ultimo, ma certamente non meno importante aspetto da valutare sulla disciplina degli appalti, è quello relativo alla responsabilità solidale.
Per chiarire le varie forme di garanzia previste a favore dei prestatori di lavoro, il Ministero opera una ricognizione della varie disposizioni di legge disciplinano la materia.
In primis richiama l’art. 29, 2° comma del D.Lgs. 276/2003, secondo il quale, in caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori, entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali dovuti.
La disposizione citata consente pertanto ai lavoratori (compresi anche i collaboratori a progetto e gli associati in partecipazione) di agire direttamente nei confronti del committente, affinchè questi risponda, in solido con l’appaltatore, nonché con gli eventuali subappaltatori, dei trattamenti retributivi e previdenziali (sia contributivi e assistenziali che assicurativi)
Va evidenziato che il limite temporale di due anni è un termine di decadenza per l’esercizio dei relativi diritti nei confronti del committente responsabile solidale; decorso tale termine l’azione per il recupero dei crediti da parte dei lavoratori e anche degli istituti per la parte contributiva e assicurativa potrà essere fatto solo nei confronti dell’appaltatore ( o eventuale subappaltatore) entro i limiti ordinari della prescrizione.
Va infine precisato che la normativa sulla responsabilità solidale non trova applicazione se il committente è una persona fisica che non esercita attività di impresa o professionale.
Così come pure resta esclusa la responsabilità solidale della Stazione appaltante pubblica, così come precisato più volte dal ministero del lavoro.
Oltre alla previsione dell’art. 29 del D.Lgs. 276/2003, il Ministero richiama quanto previsto dall’art. 35, comma 28, del D.Lgs. 223/06, convertito nella legge 248/06 (c.d. Decreto Bersani) secondo il quale, “l’appaltatore risponde in solido con il subappaltatore dell’effettuazione delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente e del versamento dei contributi previdenziali e dei contributi assicurativi obbligatori per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dei dipendenti a cui è tenuto il subappaltatore”.
La norma va ad integrare quanto già previsto dal citato art. 29, estendendo la responsabilità solidale anche per l’adempimento degli obblighi fiscali nell’ambito del rapporto tra appaltatore e subappaltatore. In questo caso si tratta di una responsabilità che fa espresso riferimento ai redditi di lavoro dipendente (con esclusione pertanto dei compensi dovuti ai collaboratori a progetti o agli associati in partecipazione)
In chiusura, ricapitolando quanto espresso in precedenza, nell’ambito della gestione di un appalto, si invita a porre particolare attenzione agli elementi che caratterizzano l’appalto c.d. “genuino”; in primis l’organizzazione aziendale e l’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori impiegati nell’appalto; quindi la verifica del rischio di impresa, senza il quale in sede di verifica ispettiva può essere agevole per gli organi preposti al controllo contestare la validità dell’appalto.
Un ultima riflessione vale la pena di farla con riferimento alle modalità con cui si contratta un appalto. Sul punto va chiarito che, specie per gli appalti privati, la legge non impone l’obbligo scritto, pertanto l’appalto può essere valido anche se è concluso verbalmente. Tuttavia, proprio per evitare contestazioni e/o incomprensione, il suggerimento è quello di stipulare per iscritto il contratto di appalto, indicando in modo specifico l’oggetto dello stesso, in che modo viene gestita l’attività, qual è il compenso pattuito.