In questi giorni stanno pervenendo richieste di giustificazione dei movimenti finanziari inviate ai contribuenti dalle Entrate. Le direzioni provinciali stanno utilizzando sempre di più questo strumento di accertamento, grazie al ribaltamento dell’onere probatorio in capo al contribuente. In effetti, le ricostruzioni operate sulla base delle indagini finanziarie godono di una presunzione legale a favore dell’Amministrazione Finanziaria, superabile solo con prova contraria posta a carico del contribuente, dovendo quest’ultimo dimostrare, in particolare, la riconducibilità dei versamenti a redditi dichiarati o legittimamente non tassati, indicando anche i beneficiari dei prelevamenti, ai sensi degli artt. 51 D.P.R. 633/1972 e 32 D.P.R. 600/1973 e la destinazione dei prelevamenti. Per i contribuenti, quindi, la difesa risulta estremamente difficile, stante il fatto che l’accertamento si riferisce ad anni passati (attualmente, per esempio, è sotto osservazione il periodo d’imposta 2014), con maggiori difficoltà a giustificare ogni singola movimentazione non transitata nelle scritture contabili; si pensi, per esempio, ai produttori agricoli non obbligati alla tenuta delle scritture contabili, ma alla sola registrazione delle fatture attive e passive. Sul punto, si ricorda che la giurisprudenza di legittimità ha affermato che la presunzione legale può essere applicata anche al di fuori del regime d’impresa e di lavoro autonomo (Cassazione, sent. 19692/2011, 2432/2017 e 8047/2013), anche ad associazioni non aventi scopo di lucro, al fine di acquisire elementi circa la sussistenza di profili di commercialità non dichiarati; tutto astrattamente possibile e da utilizzare con cura, senza trascurare la partecipazione al contraddittorio del contribuente. Un datato documento di prassi (circolare n. 25/E/2014) aveva invitato gli uffici a un utilizzo “prudente” delle presunzioni legali derivanti dalle movimentazioni bancarie, mentre con un’altra circolare (n. 32/E/2016), l’Agenzia delle Entrate aveva sottolineato l’opportunità che gli uffici procedenti, sotto il profilo operativo, si astenessero da una valutazione degli elementi acquisiti, non solo dai conti correnti, ma da qualsiasi altro rapporto, “particolarmente rigida e formale”. Di conseguenza, si rende necessario un ulteriore sforzo ricostruttivo e “motivato” dell’ufficio che, lungi dall’automatico trasferimento delle risultanze patrimoniali emerse in sede di indagini in capo al contribuente accertato, qualifichi le stesse in senso “economico e, quindi, reddituale” secondo la metodologia e tipologia di accertamento adottata per l’esercizio della pretesa tributaria (circolare n. 1/2018 della Guardia di Finanza). Si ricorda, sul punto, che vi sono soglie al di sotto delle quali la presunzione di imponibilità non opera, giacché rilevano esclusivamente le operazioni di prelevamento di ammontare superiore a 1.000 euro giornalieri e 5.000 euro mensili e soltanto per tali operazioni il contribuente deve essere chiamato a giustificare. È evidente che le indagini finanziarie hanno, quale obiettivo prioritario, quello di intercettare reddito imponibile non dichiarato, nella considerazione che le operazioni di accredito, non giustificate, sono da considerare ricavi o compensi e, ai fini Iva, operazioni attive non fatturate, mentre i prelevamenti sono da considerare costi in nero che hanno ragionevolmente generato compensi non contabilizzati, con risvolti anche in questo caso ai fini Iva. Il termine riconosciuto per fornire le risposte non può essere inferiore a 15 giorni, ai sensi degli artt. 32, c. 2 D.P.R. 600/1973 e art. 51, c. 3 del decreto Iva, ma anche in questo caso, e soprattutto in sede di richiesta di supporto documentale (si pensi alla richiesta di ottenere copia degli assegni bancari), i tempi potrebbero diluirsi notevolmente, con la necessità che l’ufficio si adatti.