SOCIETA’ DI COMODO

La Cassazione focalizza l’attenzione sulla realtà d’impresa che risulta più rilevante rispetto ai calcoli operati a tavolino dal Fisco

La recente ordinanza della Corte di Cassazione n. 25992 del 24 settembre 2025 ribadisce un principio fondamentale: nella disciplina delle società di comodo, la realtà economica dell'azienda ha la precedenza sui meri calcoli aritmetici dell'Amministrazione Finanziaria. La normativa nasce per contrastare le "scatole vuote" e le strutture puramente elusive, non le imprese reali che affrontano difficoltà concrete.

L'Amministrazione Finanziaria tende spesso a considerare il "test di operatività" come uno strumento infallibile. Il test di operatività è una sorta di "esame" che l’AF fa, ogni anno, alle società per capire se sono aziende vere (che producono ricchezza) o società “di comodo” (scatole vuote usate solo per pagare meno imposte o nascondere patrimoni). In breve, il Fisco assegna al valore degli assets aziendali una percentuale di "guadagno ipotetico". Se i ricavi non superano le soglie di legge, scatta quasi automaticamente l'etichetta di società "non operativa", con conseguenti aggravi fiscali.

La Cassazione, tuttavia, precisa che si tratta di una presunzione legale sì, ma relativa. Il contribuente ha il diritto di superarla dimostrando l'esistenza di condizioni oggettive che hanno reso impossibile il raggiungimento del reddito minimo presunto. Con ciò ci si concentra, non sui calcoli semplicisticamente operati dall’Amministrazione Finanziaria, bensì sulla realtà economica in cui l’impresa si è trovata a operare in quel periodo d’imposta; l'onere della prova deve essere interpretato quindi in "termini economici". Non si chiede al contribuente di dimostrare l'impossibile, ma di fornire prove concrete che, nel contesto di mercato specifico, gli standard legali richiesti non riflettono la sua reale capacità contributiva.

In caso di contestazione, la difesa dell'azienda deve concentrarsi sulla costruzione di un solido impianto probatorio documentale. Esempi di prove idonee includono blocchi amministrativi o contenziosi in corso, calamità naturali, insolvenze documentate dei clienti, sospensioni forzate di contratti per cause esterne.

Solo attraverso queste evidenze il giudice tributario potrà valutare se tali circostanze abbiano realmente impedito la produzione del volume d'affari atteso, distinguendo tra una reale difficoltà operativa e una mera strategia imprenditoriale meno profittevole.

Di fronte a questa linea interpretativa, si osserva come l’impostazione dell’Agenzia delle Entrate appare spesso eccessivamente rigida evidenziando altresì che le presunzioni di non operatività non possono sostituirsi alla realtà, ma devono misurarsi con essa.

  • Data inserimento: 29.12.25
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