A causa della caduta dall’alto di un lavoratore, la Corte di Appello di Firenze confermava la condanna del datore di lavoro, del direttore del cantiere e del coordinatore per la sicurezza, per reato di lesioni colpose aggravato dalla violazione della normativa antinfortunistica, contestando:
al datore di lavoro, di aver consentito lo svolgimento delle lavorazioni in quota senza aver adottato adeguate misure di protezioni contro la caduta dall'alto (nello specifico, avendo realizzato il parapetto in legno in modo non conforme alla normativa di settore in quanto i correnti erano stati applicati alla parte esterna dei montanti anziché alla parte interna e l'altezza del parapetto era inferiore a quanto prescritto dalla normativa);
al direttore del cantiere, di aver consentito lo svolgimento dei lavori senza provvedere alla sostituzione del parapetto in questione;
al coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione, di non aver adottato nessuno dei provvedimenti di sua competenza al fine di eliminare i difetti sopra indicati.
I difensori degli imputati proponevano ricorso in Cassazione cercando di dimostrare l’insussistenza del nesso causale tra la scorretta realizzazione del parapetto e l’infortunio verificatosi.
La tesi della difesa poneva l’attenzione sull’attendibilità delle dichiarazioni rese in merito alla dinamica del fatto da parte del lavoratore offeso, sostenendo la condotta abnorme del lavoratore stesso e proponendo una ricostruzione alternativa del fatto, secondo la quale il lavoratore aveva scavalcato il parapetto.
La Corte di Cassazione conferma le condanne con sentenza n. 40743 del 12 luglio 2017.
Secondo il ragionamento della corte il datore di lavoro è responsabile, in virtù della sua posizione di garanzia, in quanto non aveva adottato adeguate misure di protezione contro la caduta dall'alto: il parapetto di legno posto su di una parte della rampa prospiciente il vuoto era stato realizzato in violazione delle prescrizioni di cui all'allegato XVIII al d.lgs. 81/2008 (correnti applicati alla parte esterna, anziché interna e di altezza pari a 83 cm anziché 100 cm).
Anche il direttore del cantiere e il coordinatore sono responsabili in quanto venuti meno ai propri doveri: il primo aveva omesso di sovraintendere alla corretta realizzazione e manutenzione delle opere provvisionali (come tale intendendosi ogni manufatto che venga realizzato in un cantiere a servizio dei lavori da effettuare); il secondo, non aveva svolto le funzioni previste dall'art. 92 d. Lg. 81/2008 che prevede gli obblighi del coordinatore per l'esecuzione dei lavori durante la realizzazione dell'opera. Tali omissioni erano evidenziate dai fatti stessi: il parapetto si trovava sulla rampa da molti mesi e la scarsa resistenza dello stesso era dimostrata dal fatto che una porzione adiacente del medesimo parapetto era stata sostituita proprio il giorno precedente all'infortunio, con l’installazione di un parapetto metallico.
La Corte si sofferma anche sull’attendibilità delle dichiarazioni rese dal lavoratore infortunato precisando che, in generale, la deposizione della persona offesa può essere assunta, anche da sola, come prova della responsabilità dell'imputato, purché sia sottoposta a vaglio positivo circa la sua attendibilità.
Nel caso in cui la persona offesa si sia anche costituita parte civile e sia, perciò, portatrice di pretese economiche, il controllo di attendibilità deve essere più rigoroso rispetto a quello generico cui si sottopongono le dichiarazioni di qualsiasi testimone e si può rendere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi , cosa che, nel caso concreto era stato fatto dal giudice dalla Corte di appello che aveva sottoposto ad attenta verifica le discordanze nelle dichiarazioni rese in due occasioni dall'infortunato e che aveva esaminato l'ipotesi alternativa prospettata dalla difesa arrivando alla logica conclusione che le divergenze tra le differenti versioni rese dal lavoratore offeso, determinate da incertezze mnemoniche, non intaccavano il nucleo centrale del racconto e non minavano la credibilità della persona offesa.
Al contrario, la versione del fatto prospettata dalla difesa non risultava supportata da idonei riscontri, venendo così ad essere implicitamente disattesa la ricostruzione operata dai consulenti della difesa.
In conclusione, ciò che rileva è che il lavoratore era precipitato dalla piattaforma a causa della cattiva realizzazione, mai contestata, del parapetto che delimitava la struttura verso il vuoto.
Per quanto riguardava l’eventuale comportamento negligente del lavoratore – ribadisce la Suprema Corte - il datore di lavoro non può invocarlo a propria discolpa se è in torto per non avere impedito l’evento lesivo cagionato dallo stesso infortunato, consentendogli di operare sul luogo di lavoro in condizioni di pericolo (cosa qui indiscutibile, quanto meno in relazione all’ omessa predisposizione di un parapetto conforme ai criteri di sicurezza imposti dalla normativa di settore).
Pertanto non è configurabile la responsabilità ovvero la corresponsabilità del lavoratore per l'infortunio occorsogli allorquando il sistema della sicurezza approntato dal datore di lavoro presenti delle evidenti criticità, atteso che le disposizioni antinfortunistiche perseguono il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, dovendo il datore di lavoro dominare ed evitare l'instaurarsi da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza di prassi di lavoro non corrette e, per tale ragione, foriere di pericoli .
L’incontestata imprudenza del lavoratore infortunato, che, nella qualità di capocantiere, era certamente a conoscenza della scarsa resistenza del parapetto (come del resto dimostrato dalla sua partecipazione, il giorno precedente, alla sostituzione di parte del parapetto) non vale, pertanto, ad escludere la responsabilità degli imputati.
Secondo la sentenza citata è infondato anche il secondo motivo di ricorso, con il quale si prospetta l’abnormità della condotta del lavoratore che si sarebbe recato sulla rampa per scopi estranei alle mansioni lavorative, trattandosi di area esterna al cantiere.
Va ricordato sul punto che le opere provvisionali devono essere conservate in efficienza sino allo smobilizzo del cantiere in modo tale da non costituire pericolo per la incolumità degli addetti.
Nel caso in esame l'impianto di betonaggio era ancora in fase di costruzione e, come rilevato dal giudice di merito, era necessario a questo fine accedere alla rampa anche a piedi, se non altro al fine di eseguire i lavori nelle tramogge.
È pertanto da escludersi che la condotta del lavoratore esulasse dall'ambito del normale svolgimento delle sue mansioni rientrando nel concetto di abnormità.
Informazioni possono essere chieste alla dott.ssa Alessandra Cargiolli del settore ambiente di Confartigianato Vicenza (tel. 0444 168357.)
In allegato la sentenza della Corte di Cassazione 12/07/2017, N. 40743.