Il Tribunale di Castrovillari aveva condannato il gestore di una cava al pagamento di 4000 euro di ammenda per il reato previsto dall’art. 137, comma 1, d.lgs. n. 152/2006 che punisce chi effettua scarichi di acque reflue industriali senza la prevista autorizzazione oppure con autorizzazione sospesa o revocata.
Contro la sentenza di condanna veniva proposto ricorso per Cassazione: il difensore dell’imputato contestava che le acque scaricate nel fiume Coscile potessero configurarsi come acque reflue industriali.
La Corte, con sentenza n. 3199 del 23/01/2015, ha dichiarato inammissibile il ricorso rigettando le argomentazioni della difesa in quanto, già in sede processuale, era stato provato che l’acqua utilizzata per il processo produttivo, una volta esaurito il suo utilizzo nel ciclo, veniva fatta defluire in vasche e poi scaricata nel fiume in assenza di qualsiasi autorizzazione. La Corte, inoltre, ha valutato, quale ulteriore elemento di prova, la richiesta e il conseguimento, da parte dell’imputato, di un’autorizzazione allo scarico successiva ai fatti incriminati.
In questa sentenza i giudici della Suprema Corte colgono l’occasione per ribadire il principio di diritto secondo il quale, in tema d’inquinamento idrico, nella nozione di acque reflue industriali (definita dall’art. 74, comma 1, lett. h) del d.lgs. n. 152/2006 e s.m.i.) rientrano tutti i tipi di acque derivanti dallo svolgimento di attività produttive, che non sono compresi nella nozione di acque meteoriche di dilavamento e nella nozione di acque reflue domestiche (queste ultime da intendersi come qualsiasi tipo di acque di rifiuto provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche, art. 74, comma 1, lett. g) del d. lgs. 152/2006 e s.m.i.).
La definizione di acque reflue industriali è delineata “in negativo”: si tratta di quelle acque di rifiuto, provenienti da edifici od impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzioni di beni, qualitativamente diverse dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento; di conseguenza vi rientrano tutti i reflui derivanti da attività che non attengono strettamente al metabolismo umano ed alle attività domestiche, cioè non collegati alla presenza umana, alla coabitazione ed alla convivenza di persone.
Sono pertanto da considerare scarichi industriali, oltre ai reflui provenienti da attività di produzione industriale vera propria anche quelli provenienti da insediamenti ove si svolgono attività artigianali e di prestazioni di servizi, quando le caratteristiche qualitative degli stessi siano diverse da quelle domestiche.
Per questi motivi rientrano nella nozione di acque reflue industriali anche quelle provenienti e scaricate dal sistema di depurazione a servizio di un impianto di lavaggio d’inerti estratti da cave, come nel caso di specie.
Informazioni possono essere chieste alla dott.ssa Alessandra Cargiolli del settore ambiente di Confartigianato Vicenza (tel. 0444 168357.)
In allegato la sentenza della Corte di Cassazione 23/01/2015, N. 3199.