Il dipendente di un’azienda rimaneva vittima di un infortunio mentre, assieme ad un collega, era intento alle operazioni di sostituzione del tappeto di una macchina rotativa. Il lavoratore doveva cambiare lo stampo e sostituirlo con un altro. Per effettuare l’operazione era necessario sollevare di circa 10/15 cm il rullo di stampa utilizzando un paranco e sfilare il tappeto di stampa usurato per sostituirlo con un altro, dopodiché era necessario riabbassare il rullo nella sua sede. Per effettuare il sollevamento del rullo veniva utilizzata come imbragatura una corda, la quale, durante il sollevamento, improvvisamente cedeva, facendo cadere il rullo e schiacciando la mano del lavoratore, che riportava la sub-amputazione, con frattura, di due dita della mano destra, con prognosi iniziale di 40 giorni ed una durata effettiva della malattia di 6 mesi.
In primo grado, a causa di tale infortunio, venivano condannati per il delitto di lesioni colpose gravi l’amministratore delegato, legale rappresentante dell’azienda e quindi datore di lavoro del lavoratore infortunatosi, nonché la stessa azienda, di cui veniva configurata la responsabilità amministrativa da reato (ex art. 25 septies, comma 3 d.lgs. 231/01) con conseguente applicazione della sanzione pecuniaria.
Contro la sentenza di primo grado veniva proposto appello. I giudici di secondo grado confermavano la condanna dell’amministratore delegato e dell’azienda, cui veniva applicata la sanzione pecuniaria di 25.800 euro, revocando in quella sede solo l’applicazione delle misure interdittive, dal momento che il profitto derivato all’azienda non poteva definirsi di rilevante entità.
Il successivo ricorso in Cassazione da parte della dell’imputato, è stato dichiarato in parte infondato e in parte inammissibile. La Suprema Corte, con sentenza n. 29731 del 14 giugno 2017, ha rigettato tutte le istanze della difesa accogliendo le argomentazioni dei giudici della corte di appello.
Alcuni principi fissati dai giudici di primo e secondo grado, confermati dalla Corte di Cassazione, sono particolarmente utili ai fini della compilazione del Documento di valutazione dei rischi e della configurazione della responsabilità da reato delle aziende.
Perché si configuri la responsabilità amministrativa da reato dell’azienda ex d.lgs. 231/2001 è necessaria la sussistenza dell’interesse o quanto meno del vantaggio dell’impresa stessa.
Nel caso concreto e comunque in generale, viene delineato un concetto ampio di interesse o vantaggio in quanto è sufficiente una riduzione dei costi di lavorazione e conseguenti maggiori utili rispetto a quelli realizzabili rispettando la normativa antinfortunistica.
Se il profitto non è di rilevante entità, come nel caso considerato, si esclude l’applicazione delle misure interdittive ma non la condanna dell’impresa. La motivazione della condanna mette in evidenza come la mancata previsione nel documento di valutazione dei rischi dello specifico rischio in esame e quindi l’utilizzo di mezzi d’imbragatura, non adeguati, aveva consentito all’azienda di operare più celermente e quindi di risparmiare tempo, pertanto tale modalità operativa si era dimostrata oggettivamente vantaggiosa per l’azienda avendo ottenuto una riduzione dei costi di lavorazione e conseguentemente maggiori utili.
All’impresa andava sostanzialmente rimproverata la colpa di organizzazione consistente nella mancata adozione di un sistema aziendale per l’adempimento di tutti gli obblighi giuridici in materia di salute e di sicurezza.
La contestazione fondamentale che è stata mossa da parte dei giudici è la mancanza , nel documento di valutazione dei rischi della ditta che aveva data certa anteriore all’incidente, della valutazione del rischio “specifico” derivante dalle operazioni di manutenzione in generale e, in modo particolare, per quelle di sostituzione del tappeto, con conseguente mancata indicazione sia delle misure di prevenzione e protezione da applicare in relazione a tali operazioni di manutenzione, sia delle procedure per l’attuazione delle misure stesse.
Inoltre, non erano state adottate le misure necessarie perché tale fase di manutenzione e l’utilizzo delle attrezzature fosse riservato solo ai lavoratori con formazione ed addestramento adeguati.
A nulla valeva la difesa dell’imputato che sosteneva l’abitualità dell’operazione e la formazione sul campo dei lavoratori coinvolti nell’incidente, che si erano limitati ad osservare un collega più anziano: di fatto non erano stati effettuati corsi specifici, che invece erano stati frequentati solo dopo l’infortunio, corsi che si focalizzavano proprio sulla scelta e sull’utilizzo delle diverse imbragature, non più corde ma fasce di colore diverso a seconda del peso da sollevare.
Non va a compensare le mancanze indicate il “libro della macchina” tenuto in officina a disposizione di chi ritenesse opportuno consultarlo, dal momento che tale libro illustrava soltanto come smontare e rimontare il rullo (e non anche che cosa utilizzare per sollevarlo).
Neanche l’affermazione della difesa che i lavoratori avevano avuto la precisa disposizione di avvisare i responsabili in caso di usura di qualche attrezzo era argomento valido, in quanto la fondamentale mancanza era proprio nel fatto che l’utilizzo del mezzo di sollevamento era rimesso alla piena discrezionalità dei lavoratori, i quali, non formati sui possibili rischi, utilizzavano la corda perché più facile da inserire sotto il rullo, senza operare alcuna preventiva valutazione d’idoneità rispetto al carico da sollevare ed allo stato di usura del mezzo utilizzato per l’imbragatura.
Tale omessa valutazione dei rischi specifici era condotta da attribuire al datore di lavoro anche in presenza della figura di un responsabile della sicurezza in quanto la delega di funzioni esclude la riferibilità di eventi lesivi ai deleganti soltanto se tali eventi siano il frutto di disfunzioni occasionali e non nel caso in siano determinati da difetti strutturali aziendali o del processo produttivo, come per l’appunto nel caso di specie. Inoltre, per espressa previsione di legge la redazione del documento di valutazione dei rischi è compito specifico del datore di lavoro e, in quanto tale, insuscettibile di formare oggetto di delega.
I giudici hanno preso in considerazione tutte le ipotesi valutando anche l’eventuale abnormità del comportamento del lavoratore o, quanto meno, se lo stesso avesse concorso in qualche modo a cagionare l’infortunio.
Il comportamento abnorme del lavoratore, che esclude la responsabilità del datore di lavoro, deve essere assolutamente estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuite, risolvendosi in un comportamento del tutto esorbitante ed imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere, cosa che nel caso di specie era da escludere.
Inoltre, seppure lo strumento impiegato per l’operazione (la corda) era inadeguata non era ravvisabile un concorso di colpa in quanto nessun rimprovero poteva muoversi ai due soggetti che avevano svolto l'operazione, dal momento che non erano stati adeguatamente resi edotti dei rischi e non erano stati idoneamente formati, e, pertanto, non avevano le conoscenze necessarie per rendersi conto dell'inadeguatezza dello strumento impiegato.
D’altronde l'art. 20 comma 1 d. lgs. 81/08, in merito agli i obblighi dei lavoratori, dispone che "Ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro".
Alla luce di quanto riportato è opportuna una riflessione sul fatto che la giurisprudenza stia indicando alle aziende la necessità di operare sulla base di DVR esaustivi dal punto di vista dei rischi specifici ma anche la necessità di individuare le misure di volta in volta da applicarsi in relazione alle singole operazioni e le procedure necessarie per l’attuazione delle misure stesse (rischi specifici, misure per fronteggiarli , procedure per applicare le misure).
Non si può più ignorare che le aziende devono dotarsi di specifiche procedure in materia di sicurezza sul lavoro perché questo è, ormai, quello che viene richiesto.
Informazioni possono essere chieste alla dott.ssa Alessandra Cargiolli del settore ambiente di Confartigianato Vicenza (tel. 0444 168357.)
In allegato la sentenza della Corte di Cassazione 14/06/2017, N. 29731.