Il dipendente di un’impresa appaltatrice di lavori di costruzione di un fabbricato per civile abitazione, dovendo procedere al getto di calcestruzzo in un pilastro in elevazione, saliva su una scala a pioli appoggiata alla parete di un vecchio fabbricato - in aderenza al quale doveva essere realizzato il pilastro - in modo da poter dirigere dall’alto il movimento del braccio articolato dell’autopompa e da inserire la parte terminale del tubo del braccio nel cassetto del pilastro. Mentre era intento a queste operazioni, il braccio dell’autopompa urtava contro il cordolo del tetto del vecchio fabbricato causando la caduta di calcinacci e sassi nonché la caduta del lavoratore stesso che, spaventato, perdeva l’equilibrio cadendo dalla scala e riportando lesioni personali gravi con prognosi di 201 giorni.
I giudici, sia in primo grado sia in appello, avevano condannato il coordinatore per la progettazione e per l'esecuzione lavori e il datore di lavoro e direttore tecnico dell’impresa appaltatrice. Nello specifico, il datore di lavoro non aveva predisposto il Piano Operativo di Sicurezza (POS) mentre il coordinatore era stato condannato per aver omesso nel Piano di Sicurezza e di Coordinamento (PSC): 1) di individuare le modalità esecutive e le attrezzature da utilizzare per il getto di calcestruzzo nei pilastri;2) di verificare l’utilizzo da parte dei lavoratori, durante i lavori in quota, di attrezzature idonee a garantirli dal pericolo di cadute; 3) di far rimuovere i materiali instabili del vecchio edificio: 4) di verificare l’idoneità del POS dell’impresa appaltatrice nonché di accertare l’effettiva predisposizione del POS stesso.
I giudici di merito avevano accertato che nel cantiere era prassi, per effettuare tali operazioni, l’utilizzo di una scala a pioli; non erano stati rinvenuti nel luogo dell’infortunio ponteggi e/o trabattelli, neppure smontati mentre era stata trovata la scala: dal che si poteva desumere come l’ordinaria modalità esecutiva, per quella tipologia di lavori, era l’impiego della scala stessa. Inoltre mancava nel PSC la valutazione del rischio di caduta dall’alto di parti instabili del vecchio edificio durante i lavori in quota di getto del calcestruzzo.
Pertanto l’infortunio si era verificato sia per il mancato utilizzo di ponteggi e/o trabattelli, sia per la mancata valutazione del rischio di caduta dall’alto di parti pericolanti del vecchio manufatto.
Contro tale condanna veniva proposto il ricorso in Cassazione.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 1870 del 17 gennaio 2014, rigettava il ricorso respingendo le argomentazioni della difesa che faceva riferimento alla previsione, nel PSC, dell’utilizzo di ponteggi e/o trabattelli per l’esecuzione di lavori in quota. Si trattava di una prescrizione generica, valida per tutti i cantieri che comportano tale tipologia di lavori. Il PSC, di fatto, non prendeva in considerazione gli specifici rischi posti dal cantiere in questione, in particolare le operazioni in aderenza al vecchio fabbricato, mancava, infatti, la previsione e la valutazione del rischio di caduta di parti instabili durante i lavori in quota di getto del calcestruzzo. Gli obblighi imposti dalla legge di redigere i vari piani di sicurezza non devono essere intesi in senso burocratico come adempimento puramente formale da adempiere, ma possono ritenersi soddisfatti solo se si prendono in considerazione gli specifici rischi del lavoro predisponendo le opportune misure di prevenzione in relazione al singolo cantiere interessato.
Inoltre, non è sufficiente prevedere nel PSC adeguate attrezzature se a tale previsione non segue la verifica da parte del responsabile della sicurezza dell’uso che in concreto ne viene fatto: controllo che nel caso specifico era mancato dal momento che era emerso come, nel cantiere, non vi fosse traccia di queste attrezzature.
La Suprema Corte, nella sentenza di rigetto, fa riferimento incidentalmente anche ad un altro aspetto importante: la responsabilità del committente, figura prevista anch’essa come destinataria degli obblighi di prevenzione, da affiancarsi a quella del datore di lavoro. Anche il committente, che prende l’iniziativa dei lavori, assume una quota di responsabilità in materia di prevenzione antinfortunistica, collocandosi accanto al datore di lavoro nella titolarità degli obblighi di protezione, con la possibilità di demandarli ad altra figura del responsabile dei lavori, anziché occuparsene direttamente. Per gli aspetti tecnici, il committente o, per lui, il responsabile dei lavori, si avvale di figure specializzate che sono il coordinatore per la salute e sicurezza in fase di progettazione, e il coordinatore per la salute e sicurezza in fase di realizzazione.
In conclusione, per il committente lavori appare opportuno affidarsi a figure professionali qualificate e previste dalla legge, che devono predisporre i piani di sicurezza tenendo conto della situazione reale presente nel cantiere senza limitarsi a generiche prescrizioni.
Informazioni possono essere chieste alla dott.ssa Alessandra Cargiolli del settore ambiente di Confartigianato Vicenza (tel. 0444 168357.)