Decreto legislativo 231/2001 : i modelli organizzativi
In relazione al decreto legislativo 231/2001 riguardante la responsabilità amministrativa da reato, uno degli elementi fondamentali per la difesa dell’ente/impresa è l’adozione e l’efficace attuazione di modelli organizzativi.
Le norme di riferimento che disciplinano il modello organizzativo sono gli artt. 6 e 7 del d. lgs. .n. 231/2001.
In particolare l’art. 6, comma 2, lett. a, b, c, d, e, individua il contenuto minimo inderogabile del modello organizzativo e cioè:
a) individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi reati;
b) prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l'attuazione delle decisioni dell'ente in relazione ai reati da prevenire;
c) individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati;
d) prevedere obblighi di informazione nei confronti dell'organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli;
e) introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.
Per quanto riguarda l’efficace attuazione del modello, l’art 7, comma 4, richiede:
a) una verifica periodica e l'eventuale modifica dello stesso quando sono scoperte significative violazioni delle prescrizioni ovvero quando intervengono mutamenti nell'organizzazione o nell'attività;
b) un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.
Possiamo già trarre alcune conclusioni da queste indicazioni.
In primo luogo, un modello standard valido per tutte le realtà aziendali o per singoli settori non è accettabile. In questo senso appare chiara la disposizione dell’art 7, comma 3, che espressamente stabilisce: “ il modello prevede in relazione alla natura e alla dimensione dell'organizzazione nonché al tipo di attività svolta, misure idonee a garantire lo svolgimento dell'attività nel rispetto della legge e a scoprire ed eliminare tempestivamente situazioni di rischio.”
Vale la pena di evidenziare che l’art. 6, comma 3, prevede la possibilità di adottare modelli organizzativi sulla base di codici di comportamento redatti dalle associazioni rappresentative degli enti la cui idoneità deve essere valutata dal Ministero della Giustizia, ma tale validazione, anche se rappresenta un’autorevole opinione, non garantisce l’esclusione di responsabilità per l’ente/impresa in quanto non vincola la valutazione del giudice.
Come ripetuto più volte dalla giurisprudenza, il modello deve essere “confezionato su misura” tenendo conto della singola realtà aziendale e delle sue specifiche caratteristiche.
Inoltre il modello non è statico ma dinamico, cioè deve evolvere nel tempo tenendo conto dei mutamenti strutturali, organizzativi o produttivi e deve essere sottoposto a verifica periodica.
Infine, perché svolga pienamente la sua efficacia, il modello organizzativo va adottato preventivamente cioè prima della commissione del reato.
Non appare chiaro, invece, se la normativa preveda due tipologie di modelli organizzativi a seconda del fatto che il reato- presupposto sia commesso dai soggetti in posizione apicale o dai sottoposti, in quanto ad una prima lettura gli articoli 6 e 7 sembrano individuare due distinti modelli.
In proposito autorevoli opinioni (vedi Circolare della Guardia di Finanza n. 83607/2012) ritengono che, sulla base di un’interpretazione unitaria delle due norme citate, il modello di cui deve dotarsi l’ente/impresa sia unico e costruito in modo da soddisfare contemporaneamente le esigenze indicate da entrambi gli articoli.
Il Modello Organizzativo è obbligatorio?
La normativa non impone il modello come obbligatorio e la sua compilazione appare un onere per l’ente/impresa che dalla predisposizione dello stesso trae beneficio, un onere dunque che l’azienda ha interesse ad assolvere per prevenire e annullare gli effetti della commissione di reati da parte di soggetti che operano nel contesto aziendale.
La mancata predisposizione del modello, infatti, espone l’azienda al rischio di subire le pesanti sanzioni espressamente previste dalla legge.
In realtà l’adozione del modello appare sempre più una necessità per le imprese che vogliono difendersi, senza tener conto del fatto che alcune regioni richiedono l’adeguamento al d.lgs. n. 231/2001 quale condizione essenziale per addivenire alla contrattazione con le stesse o per operare in regime di convenzione; inoltre la giurisprudenza ritiene che la mancata realizzazione di un idoneo modello organizzativo determini la responsabilità civile degli amministratori nei confronti della società per inadeguata attività amministrativa.
Quando un modello può essere considerato efficace?
Per considerarlo tale deve essere adottato prima della commissione del fatto-reato e, sulla base di una valutazione ex ante, deve considerarsi adeguato a evitare gli illeciti, oggetto di specifica prevenzione.
Non va dimenticato che, in sede di giudizio, l’azienda avrà di fronte un giudice che dovrà valutare l’idoneità del modello e la sua efficace attuazione.
E’ innegabile che le piccole imprese possano trovarsi in difficoltà nella predisposizione di un modello il cui contenuto e la cui disciplina sono specificati da poche indicazioni legislative e la cui costruzione richiede, come vedremo, specifiche conoscenze in materia tecnica e giuridica.
D’altro canto appare inevitabile il rischio che, la costruzione del modello organizzativo venga percepita dalle aziende semplicemente come un ulteriore adempimento burocratico.
Quanto sopra esposto evidenzia che il non dotarsi di uno specifico modello organizzativo, può comportare pesanti sanzioni anche a carico dell’impresa, nel caso dei reati individuati dalla normativa, come alcuni riguardanti la materia ambientale e la sicurezza sul lavoro.
Informazioni possono essere richieste all’area tecnica della Confartigianato di Vicenza (tel. 0444 168357 – Alessandra Cargiolli).