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Decreto Legislativo 231/2001: le sentenze della Corte di Cassazione sulla colpa di organizzazione

Il mancato rispetto degli standard di diligenza richiesti nel compimento dell’attività aziendale espone l’impresa alla responsabilità da reato: le sentenze della Corte di Cassazione definiscono la colpa di organizzazione.

La Sentenza della Cassazione Penale, Sezione VI, 16 luglio 2010, n. 27735 ha definito il concetto di “colpa di organizzazione”. La Suprema Corte ha escluso che il D.lgs. 231/2001 possa prevedere ipotesi di responsabilità oggettiva (cioè senza dolo né colpa) in quanto tale normativa richiede che sussista la c.d. “colpa di organizzazione” dell’ente/impresa e cioè il non avere predisposto una serie di accorgimenti preventivi idonei a evitare la commissione di reati del tipo di quello realizzato; il riscontro di un tale deficit organizzativo consente una piena e agevole imputazione all'ente dell'illecito penale realizzato nel suo ambito operativo. L’azienda ha il compito, cioè, di prevedere una serie di presidi (modello organizzativo, organismo di vigilanza, sistema disciplinare) che possano garantire un abbassamento del rischio di reato.

La mancata previsione ed attuazione dei suddetti presidi espone l’impresa alla responsabilità da reato con la conseguente applicazione delle sanzioni pecuniarie e/o interdittive previste dalla normativa.

Anche la sentenza della Cassazione Penale, Sezione VI, 9 luglio 2009, n. 36083 ribadisce come la mancata adozione dei modelli organizzativi, in presenza dei presupposti previsti (reato commesso nell’interesse o vantaggio della società, da soggetto a essa appartenente) “è sufficiente a costituire quella "rimproverabilità”(…) e a integrare la fattispecie sanzionatoria, costituita dall'omissione delle previste doverose cautele organizzative e gestionali idonee a prevenire talune tipologie criminose.”

In tale concetto di rimproverabilità, ribadisce la Cassazione, è “implicata una forma nuova, normativa, di colpevolezza per omissione organizzativa e gestionale”.