Dal 1° luglio non è più possibile corrispondere le retribuzioni in contanti
In particolare i rapporti di lavoro coinvolti sono i seguenti:
- rapporti di lavoro subordinato di cui all’articolo 2094 cod. civ., indipendentemente dalle modalità di svolgimento della prestazione e dalla durata del rapporto: apprendistato, lavoro a chiamata, a tempo determinato, full time, part time, ecc., sono tutti ricompresi nel divieto;
- rapporti di lavoro originati da contratti di collaborazione coordinata e continuativa. Nell’ambito del divieto vanno considerati anche i compensi corrisposti agli amministratori quando assimilati, ai fini fiscali, al compenso da lavoro dipendente, ovvero certificati da una busta paga;
- contratti di lavoro instaurati in qualsiasi forma dalle cooperative con i propri soci ai sensi della 142/2001.
Dal 1° luglio 2018 (anche per le retribuzioni del mese di giugno o precedenti), pertanto, il pagamento della retribuzione dovrà obbligatoriamente avvenire con i seguenti strumenti di pagamento:
- bonifico sul conto identificato dal codice Iban indicato dal lavoratore;
- strumenti di pagamento elettronico;
- pagamento in contanti presso lo sportello bancario o postale dove il datore di lavoro abbia aperto un conto corrente di tesoreria con mandato di pagamento;
- emissione di un assegno consegnato direttamente al lavoratore o, in caso di suo comprovato impedimento, a un suo delegato. Si precisa che l'impedimento s'intende comprovato quando il delegato a ricevere il pagamento è il coniuge, il convivente o un familiare, in linea retta o collaterale, del lavoratore, purché di età non inferiore a sedici anni.
Anche gli acconti di stipendio, seppure di modesta entità, devono sottostare alla nuova normativa.
Restano espressamente esclusi dal predetto obbligo:
- i rapporti di lavoro instaurati con le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, D.Lgs. 165/2001;
- i rapporti rientranti nell’ambito di applicazione dei contratti collettivi nazionali per gli addetti a servizi familiari e domestici.
Devono altresì ritenersi esclusi, in quanto non richiamati espressamente dalla norma, i compensi derivanti da borse di studio, tirocini, rapporti di lavoro autonomo di natura occasionale.
Per quanto riguarda le sanzioni, al datore di lavoro o committente che viola l'obbligo di pagamento delle retribuzioni con gli strumenti previsti, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria consistente nel pagamento di una somma da 1.000 euro a 5.000 euro.
Si precisa, sul punto, che la firma della busta paga non costituisce prova dell'avvenuto pagamento della retribuzione.
L’Ispettorato del lavoro ha inoltre chiarito (nota prot. 4538/2018) che, in considerazione del tenore letterale e della ratio della norma, si deve ritenere che “la violazione in oggetto risulti integrata”:
a) quando la corresponsione delle somme avvenga con modalità diverse da quelle indicate dal legislatore;
b) nel caso in cui, nonostante l’utilizzo dei predetti sistemi di pagamento, il versamento delle somme dovute non sia realmente effettuato, ad esempio, nel caso in cui il bonifico bancario in favore del lavoratore venga successivamente revocato ovvero l’assegno emesso venga annullato prima dell’incasso; circostanze che evidenziano uno scopo elusivo del datore di lavoro che mina la stessa ratio della disposizione.
Del resto, la finalità antielusiva della norma risulta avvalorata anche dalla previsione dell’ultimo periodo del comma 912 a mente del quale la firma apposta dal lavoratore sulla busta paga non costituisce prova dell’avvenuto pagamento della retribuzione.
Ne consegue che, ai fini della contestazione si ritiene sia necessario verificare non soltanto che il datore di lavoro abbia disposto il pagamento utilizzando gli strumenti previsti ex lege ma che lo stesso sia andato a buon fine”.