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Perdite su crediti - Circolare dell’Agenzia delle entrate n. 26/E del 1 agosto 2013

L’Agenzia delle Entrate fornisce alcuni chiarimenti riguardanti il trattamento fiscale applicabile alle nuove ipotesi di deducibilità fiscale delle perdite su crediti.

Le perdite su crediti sono deducibili se sono definitive e risultano da elementi certi e precisi. Tali elementi si considerano realizzati :

-         per i crediti di modesta entità, se sono decorsi 6 mesi dalla scadenza del pagamento;

-         il diritto alla riscossione è prescritto;

-         il debitore ha concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti;

-         per i soggetti IAS, se il credito risulta cancellato dal bilancio, per effetto di eventi estintivi.

Nella Circolare 26/E/2013, l'Agenzia delle Entrate ha sottolineato, guardando in linea generale alla disciplina della materia, come gli oneri derivanti dalla gestione dei crediti possono concorrere alla determinazione del reddito ai fini fiscali sulla base essenzialmente di due tipi di criteri:

-         il primo riguarda i requisiti di natura probatoria che devono sussistere affinché siano deducibili, illimitatamente, gli oneri derivanti dalla mancata esigibilità dei crediti, o di parte di essi, divenuta "definitiva". Si ha, in questo caso, un meccanismo di deducibilità analitico (art. 101 comma 5 Tuir);

-         il secondo permette di individuare una misura forfettaria di deducibilità degli oneri derivanti dalla inesigibilità dei crediti che è probabile, ma non definitiva ("potenziale"). Si ha, in questo caso, invece, un meccanismo di deducibilità forfetario (art. 106 Tuir).

Occorre inoltre distinguere le perdite, tra quelle determinate tramite  :

-         un processo valutativo e quindi stima della inesigibilità;

e

-         un elemento reale cioè un fatto concreto che deriva da elementi realizzativi o estintivi del credito.

PERDITE DERIVANTI DA UN PROCESSO VALUTATIVO

Con riferimento alla determinazione delle perdite su crediti tramite un processo valutativo, tra gli elementi che possono rendere definitiva la perdita, va verificata la situazione di insolvenza non temporanea che esclude la possibilità di un futuro adempimento del debitore.

Secondo la Circolare 26/E/2013 sono atti a dimostrare l’impossibilità di recuperare il credito:

-         l’irreperibilità del debitore dimostrata da idonee procedure civilistiche e penalistiche;

-         la documentazione attestante l’esito negativo delle azioni esecutive (es:verbale di pignoramento negativo) convalidata da una valutazione complessiva della situazione economica/patrimoniale del debitore;

-         la documentazione del legale o delle agenzie di recupero crediti incaricati della riscossione, attestanti l’impossibilità di recupero del credito e l’oggettiva situazione di incapienza patrimoniale del debitore.

Per i crediti di modesto importo si può prescindere dalla ricerca di rigorose prove formali considerato che intraprendere azioni di recupero potrebbe verificarsi antieconomico.

In questo caso è necessario dimostrare l’antieconomicità della riscossione confrontando i costi della procedura, secondo i prezzi mediamente praticati nel mercato, con l’importo del credito ( costi di recupero uguali o maggiori del credito da recuperare).

Dimostrata l’antieconomicità dell’azione di recupero, ai fini della deducibilità, è sufficiente la dimostrazione che il creditore si è attivato per il recupero del credito ( es: raccomandata AR di sollecito del pagamento)

PERDITE DERIVANTI DA ATTI REALIZZATIVI

Le perdite su crediti si producono anche da atti che producono il realizzo o l’estinzione del credito quali:

-         la cessione del credito pro soluto;

-         la transazione con il debitore;

-         l’atto di rinuncia al credito.

1.       Cessione del credito pro soluto

In caso di atti realizzativi, va verificato caso per caso la definitiva inesigibilità del credito che consente la deducibilità fiscale della perdita.

A garanzia della definitività della perdita e della sua corretta quantificazione, l’Agenzia attribuisce rilevanza particolare al fatto che, il credito sia ceduto a banche o altri intermediari finanziari vigilati residenti in Italia o in Paesi che consentono un adeguato scambio di informazioni, che risultano indipendenti rispetto al creditore cedente ed al debitore ceduto.

E’ soggetta a particolare attenzione quindi, la cessione del credito a società appartenenti allo stesso gruppo.

Sempre riguardo alla cessione a titolo definitivo, assume rilevanza il fatto che la perdita sia inferiore alle spese interne, desumibili dalla contabilità industriale ed esterne, che sarebbero state sostenute per il recupero del credito.

2.       Transazione con il debitore

L’Agenzia ribadisce che, se la transazione deriva da una lite sulla fornitura, il relativo onere non realizza una perdita su crediti, ma una sopravvenienza passiva. In questo caso infatti, viene rideterminato il corrispettivo pattuito in origine e il minor valore del credito non ha origine da una inadempienza del debitore, ma da una ricontrattazione tra le parti per la definizione della lite sulla fornitura.

Nell’ipotesi della transazione con il debitore, si considerano realizzati i presupposti per la deducibilità della perdita, quando il creditore ed il debitore non fanno parte dello stesso gruppo e risultano documentate le difficoltà finanziarie del debitore (istanza di ristrutturazione presentata dal debitore o debiti insoluti anche verso terzi). 

3.       Remissione del debito

La remissione del debito, è un atto unilaterale con cui il creditore rinuncia al proprio credito a vantaggio del debitore. L’atto ha efficacia da quando è ricevuto ed accettato dal debitore.

La rinuncia o la remissione del debito genera una perdita deducibile, solo se la stessa risulta inerente all’attività di impresa e non appare come una liberalità.

L’inerenza può essere dimostrata in presenza di inconsistenza patrimoniale del debitore o di inopportunità di intraprendere azioni esecutive.

La rinuncia è conveniente se il credito è di modesta entità diversamente, la rinuncia di un credito di rilevante entità, è una operazione rischiosa dal punto di vista fiscale.

PERDITE SU CREDITI DI MODESTA ENTITÀ 

Gli elementi certi e precisi sussistono, in ogni caso, nell’ipotesi di rilevazione in bilancio di una perdita relativa a crediti di modesta entità, che risultano scaduti da almeno sei mesi. Dopo questo termine, la perdita può essere fiscalmente dedotta.

Il credito si considera di modesta entità quando ammonta a un importo non superiore a 5mila euro per le imprese con ricavi superiori a 100 milioni di euro ed a 2.500 euro per le altre imprese. L’importo limite viene verificato sul singolo credito, eccetto nel caso di rapporti giuridici unitari tra le controparti.

Possono essere dedotte le perdite sui crediti per i quali il periodo di sei mesi è decorso prima del 2012 e la perdita è imputata a conto economico nell’esercizio 2012 o nei successivi.

Per calcolare l’ammontare del credito bisogna considerare:

  • ·         il valore nominale al netto degli importi già riscossi;
  • ·         il corrispettivo riconosciuto in sede di acquisto, se il credito è stato acquisito per effetto di atti traslativi;
  • ·         l’imposta sul valore aggiunto oggetto di rivalsa nei confronti del debitore.

Sono irrilevanti, invece, gli interessi di mora e gli oneri accessori addebitati al debitore in caso di inadempimento. 

Sono esclusi dai crediti di modesta entità i crediti assistiti da garanzia assicurativa, per i quali l’inadempimento del debitore non determina una perdita per il creditore, ma un credito nei confronti dell’assicurazione.

Se esistono più crediti nei confronti del medesimo debitore, bisogna distinguere fra due diversi casi:

  • ·         se i rapporti giuridici sono fra loro autonomi, la modesta entità si verifica per singolo credito;
  • ·         se il rapporto giuridico è unitario (avviene ad esempio nei contratti di somministrazione o per i premi assicurativi) si considera il saldo complessivo dei crediti scaduti da almeno sei mesi riconducibili al medesimo debitore e allo stesso rapporto contrattuale.

Il controllo della soglia di deducibilità avviene quindi, isolando ogni singola operazione con il cliente, a nulla rilevando la circostanza che il cliente sia sempre lo stesso.

La Circolare 26/E/2013 propone i seguenti esempi:

Esempio n. 1

Un’impresa di più rilevanti dimensioni, al termine del periodo d’imposta ha nei confronti di un medesimo debitore due crediti scaduti da almeno sei mesi di valore nominale pari a:

-         €  3.000

-         €  4.000

La verifica del limite quantitativo per singolo credito consente di rispettare, per entrambi i crediti, il requisito della modesta entità, senza necessità di verificare che la somma del valore nominale dei due crediti (pari a 7.000 euro) supererebbe il limite dei 5.000 euro stabilito dalla norma.

La soluzione appena evidenziata è applicabile in presenza di obbligazioni riconducibili a rapporti giuridici autonomi.

Non sarebbe applicabile invece nella diversa ipotesi in cui l’obbligazione derivi da un rapporto giuridico unitario tra le controparti.

Nel caso in cui le partite creditorie si riferiscano al medesimo rapporto contrattuale (come, ad esempio, nei contratti di somministrazione o nei premi ricorrenti di una polizza assicurativa), infatti, appare ragionevole ritenere che la modesta entità debba essere verificata prendendo a riferimento il saldo complessivo dei crediti scaduti da almeno sei mesi al termine del periodo d’imposta riconducibile allo stesso debitore e al medesimo rapporto contrattuale.

Esempio n. 2

Si ipotizzi un’impresa di più rilevanti dimensioni che abbia nei confronti del medesimo debitore:

-         due crediti derivanti da un contratto di somministrazione del valore nominale pari a  3.000 euro e 1.500 euro scaduti da almeno sei mesi al termine del periodo d’imposta

e

-         un credito di 2.000 euro per il quale non risulta  ancora decorso il periodo dei sei mesi.

In tal caso, la verifica del limite quantitativo consente di rispettare il requisito della modesta entità dei 5.000 euro, poiché è effettuata considerando il saldo complessivo dei due crediti scaduti da almeno sei mesi al termine del periodo d’imposta (pari a 3.000 + 1.500 euro) e non anche del credito (pari a 2.000 euro) per il quale non risulta ancora decorso il periodo semestrale.

Si precisa che il rispetto dei requisiti della modesta entità del credito e dei sei mesi potrebbe non essere sufficiente per la deduzione della perdita, in assenza dell’imputazione a Conto economico del componente negativo .

I crediti considerati di modesta entità nel periodo N (perché non superiori al limite di 2.500 o 5.000 euro) la cui perdita non è stata dedotta nel medesimo periodo N (in assenza di imputazione a Conto economico) non devono essere di nuovo sottoposti alla verifica della modesta entità nei successivi periodi d’imposta.

Esempio n. 3

Si ipotizzi un’impresa di più rilevanti dimensioni che abbia nei confronti del medesimo debitore:

-         due crediti derivanti da un contratto di somministrazione del valore nominale pari a 3.000 euro e 1.500 euro scaduti da almeno sei mesi al termine del periodo d’imposta 2013;

e

-         un credito di 2.000 euro per il quale il requisito dei sei mesi risulta soddisfatto nel successivo periodo 2014.

Nel 2013 l’impresa, in assenza di imputazione a Conto economico, non deduce la perdita di 4.500 euro (3.000+1.500).

In tal caso, il contribuente nel 2014 potrà dedurre:

-         sia la perdita di 4.500 euro (relativa ai due crediti la cui modesta entità è stata verificata nel 2013);

-         sia la perdita riferita al credito di 2.000 euro (sempre che risulti soddisfatta l’imputazione a Conto economico).

Nel 2014, infatti, la verifica della modesta entità non deve essere effettuata ricomprendendo anche i due crediti (pari complessivamente a 4.500 euro) i cui sei mesi erano trascorsi nel precedente periodo.

L’Agenzia delle Entrate precisa che in assenza di imputazione a conto economico la perdita su crediti non è deducibile anche se sono scaduti da almeno sei mesi.

Per i crediti di modesta entità il termine dei sei mesi è quello a partire dal quale la perdita può essere dedotta fiscalmente, previa imputazione a conto economico.

Qualora l’impresa, nel rispetto dei principi civilistici di redazione del bilancio, imputi la perdita nel Conto economico relativo ad un esercizio successivo a quello in cui maturano i sei mesi dalla scadenza del credito, la deduzione fiscale deve essere rinviata al periodo d’imposta di imputazione a Conto economico.

Qualora, invece, la perdita sui crediti di modesta entità sia stata imputata nel Conto economico relativo ad un esercizio precedente a quello di maturazione dei sei mesi e non sia stata dedotta fiscalmente – perché non avente i requisiti per la deducibilità – la stessa dovrà considerarsi deducibile nel periodo d’imposta di maturazione del semestre ( variazione in diminuzione nel modello Unico).

L’imputazione a conto economico si considera realizzata anche nel caso di imputazione della perdita a titolo di svalutazione. Nell’ipotesi di svalutazione integrale dei crediti effettuata in periodi precedenti la maturazione dei sei mesi, la perdita diventa deducibile nel periodo d’imposta ove si realizza la decorrenza del termine di sei mesi.

Nel caso di svalutazioni effettuate per masse ove non risulta individuabile la parte riferibile ai crediti di modesto importo, la perdita deve essere previamente imputata per l’intero importo, al fondo svalutazione crediti.

Le perdite su crediti se presentano i requisiti previsti dalla norma sono deducibili solo per la parte che eccede gli accantonamenti dedotti in precedenti esercizi.

Il Fondo svalutazione crediti fiscale viene perciò diminuito degli utilizzi per perdite. Dopo tale operazione il saldo va confrontato con l’ammontare del 5% dei crediti per valutare la capienza.

1.       Decorrenza

Le nuove norme sono applicabili a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 12 agosto 2012. Per i crediti di modesto importo scaduti da almeno sei mesi, l’Agenzia chiarisce che sono deducibili anche le perdite il cui semestre di anzianità è maturato prima del 2012 e la cui perdita sia imputata a conto economico nell’esercizio 2012 o nei successivi.

CREDITI PRESCRITTI

La perdita può essere dedotta anche per i crediti il cui diritto alla riscossione è prescritto, indipendentemente dalla circostanza che il credito sia di modesta entità.

Sono quelli per cui è trascorso un determinato periodo previsto dalla legge, senza che il creditore abbia esercitato il diritto a ottenere la riscossione del valore del credito.

Normalmente il credito si prescrive in 10 anni, salvo che per i canoni di locazione e gli interessi da pagarsi annualmente per i quali vale il termine di 5 anni e per le assicurazioni e le provvigioni spettanti al mediatore che si prescrivono in un anno.

In questi casi, la deduzione della perdita opera indipendentemente dall’importo, quindi non vale solo per i crediti di modesta entità.

La nuova norma si applica ai crediti prescritti dal 2012, anche se per i periodi precedenti la prescrizione costituiva, comunque, un elemento certo e preciso cui far conseguire la deduzione della perdita.

Resta salvo il potere dell’amministrazione Finanziaria di contestare che l’inattività del creditore corrisponda alla volontà di erogazione di una liberalità.

PERDITE IN CASO DI ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE

Anche in caso di accordi di ristrutturazione, come già previsto originariamente dalla norma per le procedure concorsuali (fallimento, la liquidazione coatta amministrativa, concordato preventivo, amministrazione straordinaria), è ammessa la deducibilità della perdita su crediti.

La Circolare 26/E/2013, in particolare, chiarisce che, una volta aperta la procedura, l’individuazione dell’anno in cui dedurre la perdita su crediti deve avvenire secondo le ordinarie regole di competenza.

Gli elementi certi e precisi (requisiti per la deducibilità) sussistono dalla data della  sentenza di fallimento o del provvedimento di ammissione alla procedura.

Se il credito deriva da un accordo di ristrutturazione del debito, sottoscritto tra il debitore e creditore e regolamentato dall’articolo 182-bis della legge fallimentare, la deduzione della perdita spetta dalla data in cui interviene il decreto di omologa dell’accordo e, in particolare, nel periodo in cui si verificano le ordinarie regole di competenza previste per la deduzione dei componenti negativi.

L’importo deducibile deriva dalla stima dell’imprenditore circa le possibilità di recupero del credito in base agli atti della procedura e sarà pari alla somma imputata a conto economico.

La perdita non deve necessariamente riguardare l’intero importo del credito qualora ad esempio la procedura sia finalizzata alla prosecuzione dell’attività, come nel caso del concordato preventivo o venga posta in essere per motivi diversi dall’insolvenza del creditore (liquidazione coatta amministrativa per irregolare funzionamento dell’impresa).

La valutazione dell’entità della perdita non può essere determinata arbitrariamente, ma deve rispondere ad un razionale criterio di valutazione secondo le regole dettate dai principi contabili. Va fatto riferimento alle risultanze dei documenti contabili e finanziari redatti da un organo della procedura. La Circolare 26/E cita ad esempio l’inventario redatto dal curatore, il piano di concordato preventivo presentato ai creditori, la situazione patrimoniale redatta dal commissario giudiziale dell’amministrazione straordinaria, le garanzie reali, personali o assicurative, ovvero per i debitori esteri, i documenti degli organi ufficialmente nominati all’interno della relativa procedura.

Se il debitore risiede in un paese ricompresso nelle black list, è fatta salva l’applicazione dell’art. 110, comma 10 del Tuir sulle esimenti. Pertanto tali perdite risultano deducibili se l’impresa dimostra che il debitore svolge prevalentemente una attività commerciale effettiva ovvero che l’operazione da cui deriva il credito risponde ad un effettivo interesse economico e che la stessa ha avuto concreta esecuzione.

Se in un esercizio successivo a quello di imputazione della perdita emergono nuovi elementi dai quali risulta un maggior importo della stessa, anche detta perdita, se corredata da idonea documentazione è deducibile (dichiarazione di fallimento successiva al concordato preventivo o modifica del programma di liquidazione nel fallimento). 

  • Data inserimento: 13.09.13
  • Inserito in:: Redditi
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